Vogliamo spendere due parole sulla Figura di Maria de
Naglowska, un'iniziata Russa, che ancora in pochi conoscono. Questa donna controversa,
la cui strada si è incrociata con i Padri Fondatori del Nostro piccolo
consesso, ha condotto una vita variegata che la portata a conoscere diverse
realtà culturali e sociali ma soprattutto esoterico sapienziali, le quali come
vedremo, hanno influenzato la sua figura di Mistica e di iniziata almeno quanto
lo hanno fatto le sue convinzioni, le sue debolezze e le sue particolarità di
donna. Questo ha fatto sicuramente di lei un precursore, un modello di
emancipazione e di femminilità, che come ebbe lei stessa ad affermare, ara
ancora troppo avanti per la sua epoca di padri e padroni, per poter esser
compreso ed apprezzato in tutte le sue sfaccettature e peculiarità.
Dedicheremo, quindi due scritti alla S.’. Maria, questo in cui cercheremo di
ripercorrere sommariamente le tappe principali della sua vita, introducendo quello che secondo Noi è il più interessante dei suoi scritti:l’Orologio AuM : Il
mistero dell’Amore Magico. Nel secondo invece pubblicheremo altri due testi
della Sophiale : La luce del sesso ed il mistero dell’impiccagione. Il materiale
presente in questi scritti è consigliato ai soli lettori che abbiano compiuto la maggiore età..
Maria de Naglowska nacque sotto il segno del Leone il 15
Agosto 1883 in Russia, a San Pietroburgo, figlia del governatore della
provincia di Khazan. Rimasta orfana ancora bambina, ebbe una salute fragile,
per quanto accompagnata ad un carattere tenace e da un’intelligenza acuta.
Dopo essere stata mantenuta agli studi da parenti
aristocratici, mentre ascoltava un concerto, si invaghì di un orchestrale, un
violinista ebreo di idee sioniste. A causa dell’ostilità della sua famiglia per
quella relazione scandalosa, Maria de Naglowska ed il suo compagno
abbandonarono la Russia, trasferendosi dapprima a Berlino e poi in Svizzera.
Si stabilì a Ginevra, dove si sposò e mise al mondo
tre figli, conducendo una vita quasi agiata grazie alle opportunità di lavoro
che trovò presso la folta comunità russa. Ben presto cominciarono però le
difficoltà a causa dei contrasti fra quella comunità e le idee politiche del
marito, che in linea con i principi della religione ebraica ortodossa volle far
circoncidere il primogenito e iscrivere gli altri due, un maschio e una
femmina, alla sinagoga. Anche in seguito a ciò, la famiglia venne a perdere i
sussidi della comunità russa, già impregnata di un sentimento antisemita acceso
dalla mistificazione di quelli che il mondo profano conobbe come” i protocolli
dei savi di Sion” ; Maria si recò più volte inutilmente nel suo paese natale
per cercare di ottenere la sua parte di eredità e il riconoscimento del
matrimonio.
Il marito si allontanò dalla moglie e dai figli per recarsi
in Palestina, dove gli venne offerta la direzione del locale conservatorio di
musica, che diresse per quarant’anni, fino alla morte. Maria se la dovette
sbrigare da sola, lei e i tre figli, ma venne reintegrata nella comunità russa,
non senza che i figli venissero prontamente ribattezzati cristiani ortodossi.
Non ottenne più, comunque, alcun sussidio.
A causa dell’esternazione delle sue idee, libertarie
ed in contrasto con quelle dei benpensanti dell’epoca, fu arrestata dalle
autorità svizzere. Espulsa da Ginevra dovette ritirarsi a Berna e poi a Bale,
finché fu costretta ad abbandonare la confederazione, obbligandosi a mettere i
propri figli in un istituto, tranne il primogenito che raggiunse il padre in Palestina.
Trasferitasi in Italia, a Roma, nel 1920, all’età di
37 anni, trovò lavoro come giornalista e insegnante, riuscendo a farsi poi
raggiungere dai figli. Il tenore di vita era però dei più precari. Il
secondogenito, quindi partì anch’esso per la Palestina; Maria rimase sola con
la figlia Marie, divenuta infermiera.
A Roma la Nostra si era fatta una cerchia di amicizie
nell’ambiente occultistico, tra cui lo scrittore ed ex artista dada Julius
Evola. Fu proprio nel corso di una di queste riunioni esoteriche che essa
conobbe un filosofo russo “che gli rivelò la tradizione boreale nei suoi
aspetti più segreti”. Bisogna ritenere che fu tramite questo misterioso
contatto che la de Naglowska apprese le conoscenze magiche che poi esternò, in
parte, nei libri da lei pubblicati successivamente. Non sono tuttavia da
dimenticare i contatti con gli ambienti esoterici italiani e francesi.
Grazie alla fortuna economica fatta dal figlio
Alexandre in Egitto, Maria si trasferì in quel paese dove riuscì a riunire
tutta la famiglia tranne, naturalmente, il marito che intanto si era sposato con
una musicista semita. In Egitto la figlia Marie si sposò con un ingegnere
svizzero. La tranquillità durò soltanto fino al 1930, allorché la famiglia si
disperse di nuovo.
Tornata a Roma e poco dopo trasferitasi a Parigi nel
quartiere cosmopolita di Montparnasse, in condizioni di grave miseria, Maria de
Naglowska riuscì tuttavia, con una forza di carattere, un talento ed una
capacità di fascinazione tipica delle donne russe, a coagulare attorno alla sua
persona tutto un ambiente umano e traendo da questo le fonti della sua
sussistenza.
Essa infatti aveva cominciato a tenere delle
conversazioni pubbliche su argomenti esoterici in alcuni luoghi di gran
passaggio: alberghi e caffè. Per i proprietari era un’autentica manna e non le
addebitavano le sue consumazioni per il grande afflusso di persone che venivano
ad ascoltarla nei loro locali. Il lavoro del figlio Andrè, ricongiuntosi a lei,
le permetteva adesso di concentrarsi esclusivamente sui suoi interessi
esoterici.
Fu così che riuscì a pubblicare i suoi libr e una
rivista, La Freccia - organo di azione magica, cui collaborava da Roma J.
Evola. Dal 1930 a tutto il 1935 Maria de Naglowska visse un’intensa stagione,
facendosi conoscere da un gran numero di persone e dalla stampa francese che
non mancò di tributarle la sua attenzione. Poi, d’improvviso, all’inizio del
1936, dopo aver profetizzato la catastrofe del secondo conflitto mondiale,
convocò un’ultima conferenza, nella quale salutò i discepoli, affermando che la
sua missione era conclusa e che sarebbero dovuti passare molti anni prima che
la sua dottrina esoterica sarebbe stata apprezzata. Trasferitasi presso
la figlia Marie a Zurigo, vi morì poco dopo, il 17 Aprile 1936, all’età di 53
anni.
In Italia la dottrina di Maria de Naglowska è stata
accennata nel 1958 dal suo vecchio conoscente Julius Evola nel libro Metafisica
del Sesso e recentemente, con maggiore larghezza, dal “settologo” Massimo
Introvigne in Indagine sul Satanismo. Evola sottolineava il carattere confuso e
inorganico delle dottrine enunciate dalla Naglowska e si domandava quanta parte
avesse potuto avere la fantasia nella formulazione di queste stesse. Egli era
così in dubbio da ritenere che il proprio tentativo di convalidare queste
dottrine paragonandole con i riferimenti presi dalle tradizioni estremo- orientali
fosse “un regalare generosamente un contenuto solo assai confusamente
presentito dalla De Naglowska alla descrizione romanzata del rito”.
Preferiamo tacere sugli aspetti di distorsione, talvolta sfacciata ed esasperata, oltre ai
deliranti attacchi di misticismo, con i quali essa ha infarcito i suoi due
ultimi libri; non dobbiamo però sottovalutare che la nostra autrice possedeva
comunque delle conoscenze effettive, derivate forse da contatti con ambienti
russi vicini alle pratiche sessuali della setta dei Khlysti, in considerazione
del tipo violento di tecniche cui ci si doveva sottoporre, come, appunto, nel
Rito dell’Impiccagione. Non và neanche dimenticato che ella frequentò per
diversi anni l’Ordine della Rosa Nera e del Triangolo d’Argento, (Zenit di Roma
Templi Astarte) che operava già in Roma dal 1902. Sappiamo per certo che la sua
appartenenza all’Ordine, per quanto la sua personale visione esoterico spirituale
ha distorto, esasperato arrivando talvolta a stravolgerne i germi dell' insegnamenti
che ella aveva assorbito durante la sua permanenza nella capitale. Quanto la
sua precedente formazione iniziatica avvenuta in Russia sin dalla sua giovane
età, quando; e quanto
l’avversione di donna ferita verso la cultura del marito e quindi verso la religione
ebraica abbia contribuito alla sua personalissima visione estrema del mondo sotterraneo
e di quello profano è difficile dirlo. Quello che ci sentiamo in dovere di dire,
appartenendo Noi al'Ordine della Rosa Nera e del Triangolo d’Argento del quale
ella non si limitò solo ad esternarne in modo distorto, in un manifesto pubblico,
alcune delle dottrine e delle filosofie che in esso aveva conosciute, ma ne adottò anche il
Nome del, all’epoca, unico tempio(templi Astarte) e quello che era il sigillo che lo contraddistingueva. Un triangolo d’argento
con la punta rivolta verso il basso e con un occhio nel centro, la cui pupila formava una
rosa Nera. Non entriamo sulla questione di cosa questo comportò nel mondo
esoterico, di quei pochi che in quegli
anni conoscevano la serietà e l’onesta degli uomini e delle donne che facevano
parte della Nostra umile Confraternita. Ciò portò ad una esasperazione nella
selezione e accettazione di nuovi membri che bussavano alle porte del Nostro
templio, perchè si erano accorti, quei savi uomini e quelle pie donne che dopo l’esternazione
del Manifesto del Cenacolo d’Astarte e l’annunciazione della dottrina del terzo
termine, le richieste di ammissione alla nostra piccola fratellanza erano
aumentate, andando contro ogni pronostico di sdegno e scandalo che essi per
primi avevano previsto. Per tanto, dopo essersi consultati convenendo che
sarebbe stato un errore accettare persone attirate da un messaggio distorto e
le cui aspettative non sarebbero state in grado di essere soddisfatte
all'interno dei principi che costituiscono il Nostro Ordine. Venne così chiuso l’accesso al Nostro tempio e
respinta ogni richiesta fraterna di ammissione, anche gli amici e i parenti più
stretti non vennero più ammessi ai Nostri misteri. L’ordine continuò con regolarità i suoi studi e le
sue attività sino all’avvento della dittatura fascista in Italia, quando
dovette entrare in sonno, sospendere incontri
e lavori. Grazie a Mussolini, che dopo
esser stato aiutato da alcune frange delle così dette società segrete in
particolare della massoneria che arrivò persino a conferirgli il trentatreesimo grado” Honoris causae” ,
sotto la spinta di alcune frange cattoliche e neoaristocratiche che ancora
risentivano del potere che avevano perso per merito di alcune fazioni
massoniche, carbonare e libero pensatorie , durante l’Unità di Italia,
insieme al partito fascista e al Re dichiararono ancora una volta illegali le fraterne
società. Ci vorrà la caduta della dittatura e la Nuova Repubblica per garantire
una continuità al’Ordine della Rosa Nera e del Triangolo d’Argento. Molti
Fratelli e Sorelle durante gli anni delle barbarie belliche, già anziani
vennero meno all’esperienza terrena, altri migrarono all’estero, pochi erano
rimasti i membri ancora in Vita in Italia, ma questi con Amore e dedizione riunirono
ciò che era rimasto del piccolo consesso che aveva visto giorni migliori. Così
si resero conto che per dare una continuità al lavoro di una vita dovevano
nuovamente aprire le porte del tempio a nuovi cercatori. Venne stabilito che solo chi già avesse
raggiunto almeno il grado filosofico di maestro presso altre confraternite
potesse esser accettato; questo cercando di garantire la massima trasparenza e
chiarezza sin dal primo contatto. Chiarezza che è difficile mantenere con chi è
totalmente digiuno di questioni esoteriche, inoltre un profano non ha neanche
le basi per poter comprendere e vagliare se le sue aspettative se possano trovare
o meno soddisfazione negli studi e nei misteri della Rosa Nera. Così fissata questa
prima “clausola”, decisero anche di non fare proseliti ne reclutamento, di
mantenere sempre la riservatezza e la Natura degli incontri e dei lavori di tipo
privato. Perfino il tempio che già si trovava in una proprietà privata di alcuni
confratelli, venne definito PRIVATO e chiuso a qualsiasi profano. Nessuna quota
di iscrizione era stata mai richiesta per l’adesione al'Ordine della Rosa Nera e del
Triangolo d’Argento e per far fronte alle spese comuni di mantenimento delle
attività operative e di studio venne proclamato l’autofinanziamento. Così l’Ordine
della Rosa Nera fiorì in tutta la sua feconda operatività con l’accettazione di
nuovi giovani membri, soprattutto apparteneti alle famiglie degli anziani e
vecchi confratelli. Questo fece sì che il piccolo circolo rimanesse sconosciuto
ai più, attivo, non attivo, formato da un corpo di uomini e donne uniti da un
forte legame animico, spirituale e mentale e da un’operatività comune. Anche i
legami di sangue che univano alcuni membri con quelli che furono gli anziani
hanno contribuito a creare una magica atmosfera familiare ed informale, Humus
perfetto per l’evoluzione del pensiero magico, creativo e pneumatico. Ma non è
il Nostro Ordine il tema di questo scritto, sul quale abbiamo già detto
abbastanza, per tanto proseguiamo la nostra narrazione.
Riguardo alle pratiche, della Naglowska, il suo
discepolo-biografo Marc Pluquet non dà alcun cenno, ma si limita a riferire dei
rituali che venivano celebrati pubblicamente in locali pubblici di Parigi,
rituali che era sufficiente manifestare simbolicamente perché più tardi, chi
aveva capito, poteva decidere di farne, in privato, la necessaria trasposizione
operativa.
Da Marc Pluquet riportiamo la dichiarazione che veniva
recitata nel corso di una di queste cerimonie: “Io aderisco, poiché questa è la
mia volontà di uomo cosciente e libero, alla dottrina del Terzo Termine della
Trinità annunciata da Maria de Naglowska, grande sacerdotessa del Tempio del
Terzo Termine. Riconosco di aver raggiunto, attraverso i secoli e le
generazioni, i due Termini precedenti: il Giudaismo e il Cristianesimo, dei quali
reggo le due fiaccole accese, la fiaccola della ragione e la fiaccola del
cuore. Giuro di sforzarmi, con tutti i mezzi, per accendere in me, con l’aiuto
della donna che saprà amarmi di un amore vergine, la Terza fiaccola, quella del
sesso che conferisce la luminosa conoscenza di Lucifero o Shaitan rigenerato.
Mi proibirò di perdermi nella donna impura. Eseguirò il rito della natura
secondo gli insegnamenti del Terzo Termine della Trinità che non tollera le
vibrazioni perverse ma consiglia, molto saggiamente, all’uomo che si rispetta
di essere il Signore illuminato della donna e non lo schiavo. Perseguirò con i
miei compagni l’atto erotico iniziatico, che trasformando il calore in luce,
risveglia Lucifero nelle tenebre “diaboliche”del “ male”. Ho letto e compreso i
due volumi iniziatici che compendiano la dottrina del Terzo Termine della
Trinità, la Luce del Sesso e Il Mistero dell’Impiccagione. Accetto il battesimo
che mi viene impartito in questo momento con rispetto, gioia e riconoscenza”.
Maria de Naglowska si è fatta una cattiva fama a causa
del particolare linguaggio simbolico da essa adottato, che ha dato l’estro a
scrittori e giornalisti per sbizzarrirsi con affermazioni non provate e
addirittura campate per aria. L’ultimo esempio in ordine di tempo, a parte
qualche svista del sgnor M. Introvigne
prontamente corretta dopo la lettura di M. Pluquet, è giunta dal giornalista francese E. Brasey,
che nel suo libro Inchiesta sull’esistenza degli Angeli Ribelli, accanto a
svarioni di natura biografica, ripete le insinuazioni dei suoi in- informati
predecessori, aggiungendovi del proprio.
Marc Pluquet, nel libro-ricordo di Maria de Naglowska,
sviluppa la dottrina di femminismo pagano della scrittrice russa, che già nel
1977 lo scrittore S. Alexandrian aveva sintetizzato nel suo I Liberatori
dell’Amore e poi accennato nella Storia della Filosofia Occulta: “...la
Confraternita della Freccia d’Oro si poneva l’obiettivo di preparare l’avvento
del Regno della Madre (destinato a succedere al Regno del Padre e del Figlio dell’era
cristiana) creando delle sacerdotesse dell’amore in grado di realizzare la
fecondazione morale degli uomini. Il suo movimento, caratterizzato da uno
straordinario femminismo, implicava un rituale che fu codificato nel suo volume
La Lumière du Sexe (1933) in cui affermava di poter neutralizzare il Male,
contrapponendogli degli atti sessuali religiosi, realizzati sotto la direzione
di prostitute sacre paragonabili alle ierodule di Byblos”.
Secondo essa, la trasformazione ed il futuro della
società saranno assicurati dalla donna, anche se 5.000 anni di patriarcato le
hanno minate profondamente sia nel fisico che nella psiche. La loro sarà una
presa di coscienza graduale che le porterà, superando abitudini inveterate e
subìte, a rendersi conto del loro vero ruolo.
“Con un’audacia serena, Maria de Naglowska ha
attaccato le convenzioni che paralizzano la destinazione occulta della donna, e
non soltanto le convenzioni sociali ma anche il partito preso sentimentale . Secondo
Maria de Naglowska la porta del cielo è aperta per il coito sacro. Ma la donna
deve offrirsi all’uomo senza egoismo sessuale. Là risiede il grande segreto
dell’amore magico e la ragion d’essere della morale di domani che vuole che la
donna non sia che madre o sacerdotessa. Se è madre, dà vita fisicamente, se è
sacerdotessa, dà vita alla luce del sesso”.
Questi concetti di pura origine tantrica, sono alla base di
alcune antichissime vie tantriche che possiamo definire del sentiero della mano
sinistra. Tali pratiche sono oggi abusate e mal comprese e in molti sono
convinti che la corretta chiave operativa dei tantra della mano sinistra sono
perse del tutto, secondo Noi, in occidente è corretto, tuttavia come insegna la
personale e recente esperienza di alcuni dei Nostri Fratelli e Sorelle,
esistono ancora oggi, pochi e remotissimi monasteri tantrici, che si trovano
tra l’India e il Tibet, nella zona del monte Kailash, nei quali ancora si
pratica correttamente il rituale dell’amore sacro della via della mano
sinistra. Così siamo in grado di rivedere in alcune pratiche proposte dalla
Sophiale di Montparnasse questa antica pratica in grado di riunire gli opposti,
armonizzare i generi portando ordine
nell’Universo, ricostituendo l’Unità, l’uovo dal quale si può ascoltare il
respiro del tutto.
“Bisogna che la sacerdotessa d’amore abbia la
vocazione, cioè che si possa donare con lo stesso ardore fisico a tutti i
maschi che seduce. Non è però necessario che essa li ami, li stimi o li ammiri
individualmente, poiché in ciascun uomo essa deve saper amare, venerare e anche
adorare il Perfetto dell’avvenire. Essa offre il proprio corpo in sacrificio.
Deve mettere in quest’impresa la stessa devozione di una religiosa. Non è dunque
per la reciproca affinità fisica tra due corpi che si contribuirà
necessariamente alla qualità magica dell’unione, ma la sincerità del sentimento
religioso che animerà la sacerdotessa. La sacerdotessa ideale deve saper
vibrare in sintonia con tutte le vibrazioni maschili ch’essa suscita, per
differenti che possano essere. Oltre a questa facoltà di accordo fisico venereo
pressoché universale, la Sacerdotessa, che non è né la giovane prostituta né la
viziosa che si offre al primo venuto, trasmette a tutti le sublimi vibrazioni
del proprio ideale. E queste essendo creatrici, determinano nell’uomo il risveglio
della conoscenza, che Noi chiamiamo Satana rigenerato ovvero Lucifero”.
E’ difficile dire se queste frasi sono sincere o dette
ad effetto. Certo che, prese in se stesse, valgono molto più di un manuale di
magia sessuale e noi vogliamo credere (anche sulla scia di certe affermazioni
di un affermato mago suo contemporaneo di nome Aleyster Crowley e dei Nostri
Fratelli e Sorelle che l’accettarono nell’Ordine) che lo siano, per quanto
sgorgate più dalla sua anima di donna che da un’esperienza di conoscenza.
Essa aggiunge che in sintonia col suo carattere
lunare, la sacerdotessa d’amore non deve darsi al piacere localizzato,
appartenendo questo all’uomo, e deve restare “fredda e silenziosa” ed evitare
le gravidanze. Alexandrian aggiunge a conferma di queste parole che nel culto
babilonese la sacerdotessa veniva chiamata “naditu”, cioè l’infeconda, e la
ierodula “zer-mashitu”, ovvero colei che trascura il seme. Secondo la
Naglowska, le sacerdotesse dell’avvenire possiederanno un’eterna verginità,
malgrado la molteplicità dei rapporti sessuali, perché si negheranno al piacere
localizzato. Per Alexandrian “l’idea direttrice della sua filosofia amatoria è
la doppia polarizzazione inversa dei sessi: il cervello dell’uomo emette
un’elettricità negativa, quello della donna un’elettricità positiva; mentre,
del pari, il sesso dell’uomo è positivo e quello della donna negativo. Si
tratta di mettere d’accordo tra loro queste due correnti”. In merito rimandiamo
alla teoria del magnetismo animale di Mesmer.
Dal punto della pratica, la scrittrice dice che l’uomo
e la donna devono aumentare più che possono la carica del loro desiderio
sessuale, devono cavalcarlo come farebbero con un corsiero, ma senza farsi
disarcionare. E’ evidente in questa raccomandazione la consapevolezza che
l’energia sessuale è come un’onda che, “cavalcata”, permette di passare la
“barriera” della grezza materialità, fungendo da pneumatico come una qualsiasi
altra pratica atta alla ricerca dell’intuizione scaturente l’Illuminazione. Ma
pare di capire, attraverso il simbolismo che l’uomo “resti secco” e non emetta
il seme. E questo conferma perfettamente
quanto appreso dai Nostri F.’. e S .’. in Tibet, infatti nei Monasteri
tantrici, sono venuti a conoscenza che l’originale pratica tantrica della via
della mano sinistra non prevedeva e non prevede il rilascio di fluidi corporei.
Anche il ciclo mestruale della donna viene ridotto al minimo nel periodo che
anticipa la celebrazione del Maithuna, questo per conservare l’energia e la
carica fluidica presente in essi, che serviranno per risvegliare e canalizzare
l’energia del serpente Kundalini che permetterà l’intuizione estatica in grado
di fornire l’illuminazione. Questo tantra della mano sinistra è in perfetta
sincronia con la via secca alchimia, proprio per i motivi appena esposti. Questo atto viene rappresentato ed esaltato
come un divorzio che si contrappone al matrimonio, cioè all’effusione finale
nel partner. La Naglowska lo definisce il “divorzio d’amore”. “Non è il
matrimonio il più alto sacramento dell’unione tra uomo e donna, bensì il
divorzio. Bisogna considerare il divorzio non come l’espressione di un
fallimento sentimentale, ma come una duplice vittoria conseguita di concerto.
La coppia futura divorzierà per amore, non per inimicizia”.
La Sophiale, come amava farsi chiamare a Montparnasse,
affermava tuttavia che la donna si sta facendo rara - intendendo evidentemente
la donna in senso eminente - e che in conseguenza di ciò lo stesso uomo tende a
svirilizzarsi. In pratica, starebbe venendo meno quella complementarietà della
coppia che sola è in grado di assicurare il perfetto equilibrio e progresso di
una società. “Sarà la donna ormai che si assumerà il compito di regolamentare
gli atti del vivere quotidiano; l’uomo ne metterà in pratica i principi
normativi. Quest’affermazione può sembrare gratuita, ma per poco che ci si
allontani dal modo tradizionale di ragionare, si è costretti a riconoscere che
la custode della VITA, praticamente la sua radice, è la donna. Si può
immaginare un mondo senza uomini ma non il contrario”. Così sintetizzava il
Pluquet.
Nella sua dottrina, Maria de Naglowska riprende un
vecchio assioma esoterico, portato alla luce alcuni decenni prima da P.B.
Randolph, secondo il quale, mentre è l’uomo che ingravida fisicamente la donna,
è quest’ultima che, invece, ingravida spiritualmente il cervello del maschio.
“Il Dottor Adrien Peladan figlio, afferma, successivamente a Randolph, che la
donna è destinata alla fecondazione uterina e non alla creazione cerebrale, ma
che è dotata di un cervello maschile che feconda quello dell’uomo: per effetto
della proiezione del pensiero della donna, il cervello femminile dell’uomo è in
grado di concepire”. “...la sua intelligenza (quella della donna) viene dal
sesso e non dal cervello. Oggi, la donna che vuol essere uguale all’uomo
coltiva a dismisura la ragione. E’ questo il grande errore del secolo e
l’origine di tutti i mali di cui soffriamo. La ragione nell’uomo prende il
posto dell’intelligenza. Questa gli è propria e l’uomo se ne serve
adeguatamente. La donna invece, si rende inferiore quando segue quest’esempio,
che è anormale. La donna deve riapprendere, prima di governare, ad accumulare
la luce spirituale nel proprio sesso, celebrando i riti da noi preconizzati”.
Si tratta di tematiche piuttosto complicate, anche
perché vi sono due scuole di pensiero (e di pratica); una, sostiene che la donna
non può nulla in magia sessuale senza l’ausilio dello sperma del maschio.
L’altra ritiene uomo e donna in dovere di operare assieme verso un comune
conseguimento. Tuttavia in base ad un attento esame degli scritti di M. de N.,
non ci è parso che il ruolo della donna sia così autonomo come afferma Marc
Pluquet. La magia sessuale della donna naglowskiana ci è sembrata, in fin dei
conti, in funzione del maschio. E’ sufficiente vedere il ruolo di Xénia nel
romanzo qui tradotto per rendersene conto.
Questa caratteristica, che abbiamo riscontrato anche
negli altri due libri della scrittrice russa - e dai quali abbiamo riportato
ampi stralci - ci pone di fronte a delle precise riserve in ordine alle
conoscenze profonde che della magia sessuale avrebbe avuto La Sophiale. Inoltre
nessuno, tranne il sacerdote cattolico Pierre Geyraud, in un libro scritto nel
1937, ha notato che la matrice delle idee sessuo -magico rivoluzionarie
dell’autrice potrebbe essere una copiatura di quelle del clandestino “Cenacolo
di Astarte, resosi pubblico nel 1920, attraverso un manifesto del quale ci
ripromettiamo di pubblicare una copia quanto prima; e che proprio come l’Ordine
della Rosa Nera e del Triangolo d’Argento zenit di Roma Templi Astarte. Caratteristiche
queste che Maria deve aver riprodotto emulando quanto appreso nel Fraterno
Ordine in quel di Roma. Questo cenacolo si
proponeva di unificare i seguaci della Donna-Divina, terza ipostasi
dell’Assoluto manifestato. La sua missione era quella di ripristinare il culto
del Dio Madre e di annunciare il Paracleto che si sarebbe rivelato come Sophia,
Nostra Signora lo Spirito Santo, Colei- Che –Deve -Venire. Per emblema aveva
una rappresentazione ‘altamente simbolica’ del sesso femminile”. Lo stesso
curioso epiteto di La Sophiale potrebbe essere stato ispirato dalle dottrine
del Nostro Circolo, che ha da sempre un allineamento Lunare e Saturnio.
Cosicché anche i discorsi femministi, per quanto
rivestiti con toni mistici e millenaristici, le pretese di riforma della
società, le sue normative, e la visione del mondo nel senso di una futura Età
della Madre (Terzo Termine della Trinità) sembrano oggi più un habitus di
facciata che i frutti di una profonda meditazione. Potremmo quasi spingerci ad
affermare che l’esoterismo di Maria de Naglowska, appreso quasi per caso nel
corso della sua vita avventurosa e travagliata, sia stato uno dei tanti
elementi utilizzati da questa donna così sventurata e così piena di risorse.
Alexandrian, con parole appassionate, ci lascia di lei
un miglior ricordo: “Se non tutto è da ammirare in Maria de Naglowska, essa
merita tutta la nostra stima perché dice all’uomo: ‘Non puoi tornare nel ventre
di tua madre per rinascere con un’altro nome, ma puoi rituffarti nella donna
che t’accoglierà con amore, per attingere in essa la luce che ti manca’. Maria de
Naglowska ha dimostrato che la donna è ideologicamente necessaria all’uomo”.
Il Rito Sacro dell’Amore Magico contiene un enigma che,
contrariamente alle affermazioni dell’autrice che lo avrebbe scritto per
chiarire i misteri, ci sembra voluto e non casuale. Si tratta di apparenti
errori nel disegno dell’orologio Aum e di errate indicazioni del testo
romanzato, a proposito delle modalità operative per tracciare il quadrante.
Innanzitutto osserviamo il disegno originale dell’edizione del 1932.
Al centro della figura che ricopre il numero 6 vi è un
punto, un piccolo cerchietto nero. Nella didascalia posta più sotto, questo
cerchietto si trasforma, chissà perché, in un quadrato. In base alla lettura
del testo, si noterà che il cerchietto, in realtà, dovrebbe avere forma
oblunga, in quanto si tratta di un... uovo! Inoltre, per due volte, il termine
Avm prende il posto di quello corretto Aum.
Al termine dell’introduzione c’è il primo enigma. I tre
numeri sovrastanti il quadrante, 1, 3 e 2, in realtà dovrebbero essere 5, 3 e
2, come viene poi chiaramente annunciato dalla voce interiore che parla a Xénia
nel 4° capitolo: “Metti 5 sopra l’1, al di fuori del cerchio”. E più oltre
ancora.
Proprio da questo punto comincia quello che a noi
sembra un deliberato tentativo di sviare il lettore poco perspicace. Il
quadrante dell’orologio ha due circonferenze: quella esterna, più marcata,
leggendo attentamente non dovrebbe esistere ma essere ridotta ad una semicurva.
La voce interiore dice di disegnare una curva parallela al cerchio dando due
termini ben precisi; non dice di fare tutto un cerchio ma di limitarsi ad un
segmento di esso: “dal 2 nuovo al 5 nuovo...”.
Il disegno del 1932 non riporta poi le tre scritte
imposte dalla voce:
1) LA MIA NUOVA FORMAZIONE (in testa al
disegno)
2) IL VALORE COMPLESSIVO DELLE ORE INTERMEDIE
E’ 54, CIOE’ 9. QUESTO NUMERO E’ LA CIFRA SIMBOLICA DELL’ERA CHE IO COMBATTO,
POICHE’ E’ ESSA CHE MI PRIVA DEL MIO CORPO (a margine).
3) HO BISOGNO DI UNA DONNA E DI UN UOMO, PER
POI RINASCERE DA LORO DUE (in basso e col proprio sangue).
Nel leggere la seconda frase il lettore, però, resterà
perplesso, domandandosi cosa si è inteso per ore intermedie. Volendo presumere
che si tratta delle ore tra le due circonferenze (una delle quali non dovrebbe
esistere, come abbiamo detto) calcolerà 1+2+3+4+5+6+7+8+9+10+
11+12= 78, che con ulteriore addizione teosofica darà (7+8)
15 e (1+5) infine 6.
78, come fa notare O. Wirth nel suo studio sui
Tarocchi, è la somma dei numeri, dall’unità alla dozzina inclusa; ciò ha
un’evidente connessione col simbolismo solare del numero 12, quello della
perfezione che, a sua volta, è un raddoppiamento del 6 femminile; ma lasciamo
perdere...
Quindi non più 54, cioè 9, bensì 78, cioè 6. A questo
punto della nostra esposizione l’orologio Aum dovrebbe assumere questa parziale
configurazione:
Continuando nella lettura, la descrizione della formazione
del disegno si ingarbuglia di più. Xénia traccia automaticamente col proprio
sangue una linea a zig-zag che, partendo dall’1 giunge fino al 6. La procedura
corretta, visto che l’autrice parla di una figura simmetrica che deriva dai due
tracciati intersecantisi a più riprese, è 1,11,3,9,5,7,6; così come sarà
corretta la successiva: 11,2,10,4,8,6. Pertanto, la figura si dovrebbe
presentare così:
Invece, viene dato un ordine di scansione sbagliato, per
quanto riguarda la linea rossa: 3, 6, 9, anziché, ovviamente, 3, 9, 6. Inoltre
si omettono i passaggi al 5 e al 7. Poi, il disegno originale non presenta
traccia di spirali che girino attorno ai numeri ma solo zig-zag, mentre nel
testo scritto è detto esplicitamente anche delle spirali. Non si capisce
pertanto a cosa si riferisce l’autrice scrivendo che il 2, 4, 8 e 10 “rimangono
fuori” e il 5, 7, 1 e 11 “all’interno del tracciato”, né, tantomeno, si riesce
a riconoscere che “l’insieme si configurava come una specie di stella a quattro
punte acute e a due ali rotonde”!
Contrariamente a quanto scritto nell’introduzione, viene poi
tracciata una linea blu (e non nera) che, partendo come la rossa dal numero 11,
traccia il percorso 2, 10, 4, 8, 6; per poi ripercorrerlo a ritroso e sfuggire
via, oltre la circonferenza dell’orologio.
Verso la fine del 5° capitolo, Mischa pronuncia il
numero 41, che non è altro che la somma teosofica dei numeri della linea blu.
Quando però si tratta di simbolizzare la risalita di questa stessa linea
attraverso il medesimo percorso di quella rossa, Mischa pronuncia il numero 36,
omettendo di partire dal 6 anziché dal 7. In tal modo la somma complessiva
sarebbe, più giustamente, 42. Da 41 a 36 Mischa ricava la somma 77, che egli
definisce il numero della liberazione. Noi troviamo più giusto fare 41+42=83
che, per ulteriore addizione (8+3) dà 11. Da notare, a nostro favore, che le
reciproche addizioni di 41 e 42 danno 5 e 6, cioè i numeri del maschio e della
femmina che, uniti, danno appunto 11, il numero dell’unione magica sessuale
(1+1).
Quando Mischa invita Xénia a risalire con lui dal 6
all’1, non fa che riferirsi ad un procedimento di magia che parte dall’unione
fisica sessuale, ossia non “dall’11 al 77” ma dall’11 all’83 (8+3=11 ancora)
cioè alla pratica del serpente che si morde la coda(13).
Perché tutti questi tentativi di confondere il
lettore? Noi riteniamo che, data l’epoca in cui scriveva, non era opportuno
parlare esplicitamente di pratiche sessuali che ancor oggi destano scandalo. Se
oggi si rischia tutt’al più lo scherno o la commiserazione, allora si sarebbe
incorsi in gravi sanzioni sociali e penali.
In base ad alcuni elementi, possiamo supporre che lo
schema dell’orologio Aum si riferisca ai tempi e alla ciclica di una precisa e
ignota operatività sessuale di coppia.
La nostra scrittrice dice esplicitamente che l’11
rappresenta “l’ingresso dell’uomo nella donna e di Dio nella Natura”. Schiller
scrisse: “11 è il peccato, 11 va oltre i Dieci Comandamenti”. Altri riferimenti
permettono di qualificarlo come un numero del Caos. Nell’antichità gli
orgiastici collegi sacerdotali di Dioniso erano composti da 11 membri. Dall’ora
undecima si sviluppa dunque l’azione magica sessuale, proprio perché si tratta
di un’operazione che utilizza le forze telluriche e dissolutive della
caoticità, per compiere un’opera di reintegrazione. In questa prospettiva le
ore dell’orologio hanno un andamento sinistrogiro, di scardinamento delle
regole. Bisogna scendere, immergersi nella materia e in essa trovare l’energia
per compiere l’opera. Infatti il Maestro del Passato, dolendosi per la perdita
dei beni materiali e del suo regno, cerca di giungere al 6, il punto più basso,
perché lì vi è l’oro alchemico.
Per forza di cose costui necessita del maschio e della
femmina, vale a dire che l’essere umano, per giungere a reintegrare la sua
natura edenica, deve farlo attraverso le vie alchemiche dell’unione sessuale. Da
qui l’invito di Mischa a Xénia di risalire assieme dal 6 all’1. A riguardo, è
abbastanza chiaro il senso espresso dai colori dell’orologio. Questo, nel sogno
di Xénia, prima di assumere le sue sembianze si era presentato come un disco di
smeraldo. Il colore di questa pietra preziosa è il verde, il colore di Venere.
Le due linee segmentate, simili ad un fulmine che si abbatte, scendono giù fino
al numero 6 che, come aveva intuito Xénia, “rappresenta un’organo, nascosto nel
mio corpo e nel quale vuole penetrare il mio Maestro”, cioè il sesso femminile.
Queste due linee sono una blu e l’altra rossa e
rappresentano le polarità magnetica ed elettrica della corporeità sia della
terra che del corpo umano. Esse si congiungono nel sigillo di Salomone, nel 6
che viene fecondato animicamente. Simbolicamente questo 6 genera un uovo,
segnacolo di tutte le potenzialità germinative e della capacità di risalire.
Le due linee però, si intersecano tra loro più di una
volta, prima di giungere alla congiunzione principale nel 6, e altrettanto
accade poi a ritroso, anche se si tratta, questa volta, di un ripercorrerle
assieme. In questi incroci possiamo vedere delle allusioni a particolari
operativi che, tuttavia, non è facile determinare, sia perché il romanzo dà
solo dei cenni - riservando il restro a delle comunicazioni orali tra
insegnante e discepolo - sia perché non sembra che l’insegnamento della Naglowska
abbia avuto un proseguimento diretto, eccettuando il caso della bella Hanoum su
cui nulla ci è dato sapere.
E’ interessante il dato che la linea rossa venga
tracciata con il sangue virginale. La deflorazione di Xénia è compiuta da
Mischa col dito della mano destra, proprio per dare l’opportunità di tracciare
con esso la linea rossa, un alinea “maschile”, perché tramite essa Mischa può
risalire. Noi riteniamo che si tratti comunque di sangue mestruale e che
l’operatività di questa linea vada eseguita con il concorso del periodo
mestruale.
La linea blù e le sue tappe (i suoi angoli) sono
femminili perché “la discesa si attua attraverso la femmina e nella femmina”.
La spiegazione e la stessa ideazione di queste tappe numeriche ci sembrano un
po farraginose conferendo all’insieme dell’orologio Aum un chè di forzato. Vien
dato di capire che la linea blu è quella che seguono tutti gli esseri umani e
lo stesso Dio per corporificarsi e corporificare il Mondo.
Il punto cruciale è l’ora sesta, termine della
discesa, centro del peccato ma anche trampolino di lancio per l’ascesa: “si
tratta di un grande mistero per il profano”. La risalita avviene attraverso la
linea rossa che, noi riteniamo, dev’essere tracciata dal basso in alto e non,
come indica l’autrice con probabile intento dissimulatorio, dall’alto al basso.
Poiché è tracciata con il sangue virginale (mestruale) deve per forza scaturire
dall’ora sesta, simbolo della vagina. Ci pare anche che l’uomo che intraprende
la risalita non ne può non tenere conto, altrimenti non avrebbe avuto senso il
tracciare questa linea col sangue e, ancor di più, il volere che una goccia di
esso venisse fatta cadere sulla quinta parola (donna) della frase “ho bisogno
di una donna e di un uomo...”, poiché il 5 corrisponde all’uomo nel simbolismo
è del tutto chiaro che la donna sanguinante figura come quinta parola, perché è
indispensabile nella via che percorre il maschio.
Al termine della risalita, all’ora undecima, c’è un
coito sacro con la donna, ma l’uomo non deve versare il seme. Sembra anzi che
la Naglowska polemizzi con quelle scuole che, invece, nelle loro pratiche,
compendiano proprio l’emissione del seme: “oggigiorno troppi metodi diversi
tendono a facilitare l’Esperienza Magica Regale con dei mezzi artificiali che
lusingano l’orgoglio ma offendono Dio e non arrivano che a dei mezzi risultati,
cosiddetti scientifici”.
Nel racconto la risalita lungo la linea rossa coincide
con la risalita notturna della montagna, nel corso della quale non mancano le
allusioni simboliche alla pratica sessuale. Crediamo che questo romanzo volesse
essere uno stimolo a stabilire un contratto fra il lettore interessato e il
gruppo di Maria de Naglowska, che si raccoglieva attorno alla rivista La
Freccia. Quest’ultima è anche raffigurata nell’orologio Aum.
IL MISTERO DELL'AMORE MAGICO
PREFAZIONE DELL'AUTRICE
Il simbolo non è un'immagine che rappresenta la tal cosa o
la tale idea determinata e nemmeno un'iscrizione dal senso circoscritto.
Il simbolo è una chiave che apre delle porte, ma, in più,
bisogna avere la capacità di scorgere i tesori nascosti dietro queste porte.
Il simbolo che noi presentiamo qui al pubblico è denominato
OROLOGIO AUM.
E' la chiave che permette di comprendere che una medesima
Legge sovrintende alla nascita di un bambino, alla rinascita di un individuo
morto alla vita materiale e rifatto per quella spirituale, e alla triplice
vicenda del mondo visibile, che si rinnova senza sosta, seguendo un ritmo
eterno: la sera, la notte e il nuovo mattino.
Questo ritmo corrisponde alle fasi successive e sempiterne
della Divinità, la cui Via si manifesta tanto sotto l'aspetto del Padre, che
del Figlio, che della Madre. Prima c'è la Discesa, segue poi la Lotta contro
questa Discesa e, infine, ecco la Vittoria della Primavera Divina per mezzo di
Madre-Natura.
Ma la Primavera, che non dura che una stagione, determina
una nuova Discesa, seguita da una nuova Lotta, e così per sempre. L'alta
saggezza di questa Volontà disinteressata non sarà mai compresa dallo spirito
volgare, che agisce solo per interesse: l'individuo purificato, invece, ne
comprende la bellezza.
L'OROLOGIO AUM, che ci deriva dalle Indie e dall'Egitto, e
del quale noi stesse abbiamo sperimentato il valore, è costruito nel modo
seguente:
C'è anzitutto un quadrante, simile a tutti i quadranti del
mondo ma con questa differenza, che lo scorrere delle ore viene supposto da
destra a sinistra e non viceversa, come ne è il caso per gli orologi normali.
Alle undici comincia la Discesa. Essa è raffigurata nel
disegno della pagine precedente da una linea nera e ben marcata che, partendo
dalla cifra 11, si sposta poi al due, al dieci, al quattro e all'otto, per
penetrare infine nel sei, qui rappresentato dal Sigillo di Salomone, cioè i due
triangoli intersecati, che simboleggiano la Discesa della Divinità nella
Materia (o Natura) e la Volontà del Rinnovo Spirituale di quest'ultima
attraverso l'uomo.
Questo stesso simbolo, come del resto il disegno AUM nel suo
insieme, raffigura pure la respirazione, che si compone di inspirazione,
espirazione e riposo.
Questa linea che si segmenta al 2, al 10, al 4 e all'8, è la
linea femminile, perché la Discesa si attua attraverso la femmina e nella
femmina, per l'uomo, e nella Natura, per Dio.
Ogni studioso della Saggezza deve meditare a lungo su questa
Verità basilare.
Ora, perché la linea della Discesa è segmentata, e perché
questo tracciato femminile si snoda attraverso il due, il dieci, il quattro e
l'otto? In altre parole: che significato questi numeri?
La scienza di cui siamo detentrici risponde così:
L'11 simboleggia l'Ingresso (dell'uomo nella donna, e di Dio
nella natura), il 2 rappresenta il matrimonio dei due elementi contrari e, conseguentemente,
il punto di partenza di una nuova segmentazione. E' la formazione dell'angolo.
Il numero 10, essendo il prodotto della moltiplicazione del
2 col 5, quest'ultimi impersonando il femminile ed il maschile, ecco che
abbiamo, nel nostro disegno, all'ora 10, una specie di sconfitta dell'Uomo,
precipitato da questo momento, assieme alla donna, nel profondo dell'Inferno
(della Materia).
All'ora 4, i due elementi contrari si equivalgono, è adesso
che si verifica la crocefissione dello Spirito sul Legno Santo della Natura; è
la sofferenza dell'uomo che abdica ed è la sofferenza della donna fecondata.
Allora, un nuovo angolo orienta il nero cammino verso l'8.
Questo numero rappresenta il primo giorno del nuovo periodo,
nel quale la donna domina l'uomo e la Materia imprigiona lo Spirito nella
profondità delle sue viscere. Ci troviamo, all'ora 8, sul limitare dell'abisso,
nel quale si muore o si rivive.
Il numero 6, che è il termine della Discesa, è anche quello
che determina la Rinascita.
Si tratta di un grande mistero per il profano ma la più
bella delle luci per l'iniziato. L'individuo appartiene al peccato, ma colui
che risale, da questo momento, rinasce alla vita eterna.
Questo passaggio è pericoloso per la maggior parte degli
uomini, ma il Figlio di Dio trionfa e rinasce. E' il mistero della Vittoria di
cristo.
Dal 7 al 5, e dal 5 al 9, poi dal 9 al 3, e dal 3 all'11, il
Vittorioso risale verso la spiritualità, seguendo la linea chiara del nostro
disegno. Ad ogni angolo (qui si tratta degli angoli maschili) le virtù
spirituali dell'uomo aumentano ed egli giunge davanti alla Porta (il numero
11), rinvigorito di nuovi poteri.
Tuttavia, di fronte a questa porta, lo attende la prova
suprema. Qui l'uomo ritrova la donna, la propria sposa. Egli è invitato a
ricongiungervisi, ma rimanendo continente, cioè impedendo all'energia sessuale
di effondersi, per offrirla totalmente allo Spirito. Questa prova è
pericolosissima, perché una caduta in questo momento comporta la perdita della
ragione.
Il Vittorioso è proiettato subito nell'1, che determina o
rappresenta la sua liberazione dalla prigione della materia. Egli è Re sacro e
viene investito del potere di dominare gli esseri umani….
Il Rito Sacro dell'Amore Magico è la storia della formazione
naturale di questo Re.
Offriamo questo libro all'attenzione dei lettori,
considerando che oggigiorno troppi metodi diversi tendono a facilitare
l'Esperienza Magica Reale con dei mezzi artificiali che lusingano l'orgoglio,
ma offendono Dio e non arrivano che a dei mezzi risultati, cosiddetti
"scientifici".
Il risultato perfetto illumina le tre Stelle della Saggezza,
rappresentate nel nostro disegno dai numeri 1, 3, e 2, disposti rispettivamente
sopra l'1, il 12 e l'11 del quadrante. A loro volta queste Stelle formano il
triangolo Divino, composto dal padre, dal Figlio e dalla Madre; tuttavia nella
nostra storia il 3 (la Stella della Madre) e il 2 (la Stella del Figlio) si
illuminano soltanto perché i nostri protagonisti (Mischa e Xenia) non hanno
compiuto il rito, ancor più importante, del Secondo Matrimonio, che è riservato
alla generazione del Messia.
(1=5)
Quest'ultima Stella, che si chiama La Stella Brillante del
Mattino, non fa parte della nostra epoca, perché ancora non è terminato il
periodo della nostra sofferenza: l'umanità comincia appena adesso la sua ascesa
verso lo Spirito e l' Era del Terzo Termine deve trascorrere prima dell'avvento
sulla nostra terra del Re-Messia.
NELLA NEBBIA DEL PENSIERO
Siamo nati per essere felici. Il nostro destino
naturale è l'equilibrio, l'armonia, poiché se noi siamo così come dobbiamo
essere, l'intero universo si riflette in ognuno di noi come un canto armonioso,
gaio, felice. La terra ci parlerebbe allora col suo linguaggio pieno di
saggezza, ci guiderebbe nella sua vita. Il cielo sarebbe per noi come una
continua e tenera carezza, la sua pioggia ci farebbe del bene e la sua luce ci
istruirebbe. Da lontano, dai quattro punti dell'orizzonte, i venti ci
porterebbero il soffio necessario che rianima, fortifica, vivifica. Il grande
mare blu, o verde o glauco non avrebbe più misteri, l'onda impetuosa non ci
spaventerebbe più – se noi fossimo quelli che siamo destinati ad essere. uomini
e donne normali.
Tuttavia c'è nel mondo qualcosa che ci impedisce di essere
normali. C'è nel mondo una forza che si ostina ad ostacolarci, ed il canto
dell'universo, a causa di ciò, ha delle note disarmoniche che propagano il
dolore, la falsità e la crudeltà.
Un gigantesco spirito di menzogna aleggia sul mondo. Esso
impedisce agli uomini e alle donne di essere tali. Gli stessi fanciulli non
possono esserlo: né spontanei, allegri, scherzosi, a causa di questa
cattiveria che urla attraverso gli esseri come un'inconsolabile disperazione.
I più diversi nomi sono stati dati a questa forza malvagia, poiché in ogni
epoca si è tentato di fermarla. La si chiama Satana, se ne è fatto il Diavolo,
si dice che ciò è lo spirito del Male, lo spirito della distruzione, o che
altro ancora! Tutti questi nomi non hanno nulla di concreto ed è per questo che
il Nemico non è mai stato sconfitto.
Per quanto singolare, ecco ciò che occorrerebbe: basterebbe
scoprire il vero nome (la corrispondenza essenziale) della cattiveria per
identificarla e farla sparire del tutto. E' un mistero, poiché è difficile
spiegare in parole povere la vita e l'essenza dei nomi, ma è pur vero che se si
sapesse pronunciarli, cioè realizzarli, il rito che simboleggia l'Inciampo
Supremo, ogni sua forza malefica sarebbe paralizzata. Ah! se poteste capirlo e
scoprirlo in seguito alla lettura di questo libro che è stato scritto proprio a
tale scopo! La forza malefica che ostacola la marcia trionfale
dell'avvenire non è nient'altro che il Passato, incapace di morire, poiché
nulla muore. Essa attende la sua rigenerazione, il battesimo che modificherà il
suo nome. Nuove labbra sono necessarie allo scopo, perché "un nome antico
pronunciato da una bocca nuova è un nome nuovo, una Rinascita".
Quali precauzione occorrono, ahimè! in tempi così penosi per
poter esprimere le cose più semplici! Noi viviamo in un'epoca in cui si
scontrano con pari violenza numerose tendenze contrapposte. E' come in quei
luoghi perigliosi dei mari in cui le navi "ballano" anche col bel
tempo. Non ci si comprende più, le parole cambiano di significato a seconda di
chi le pronuncia, uno dice "spirito" e un altro capisce
"balle!".
In tal modo, noi in questa vita siamo come fogli esposte al
sole e all'aria pura. Dalle profonde radici che ci attaccano tutti alla stessa
terra sale a noi la linfa che il sole stesso benedice, ma l'uomo se ne serve male,
poiché più nulla comprende.
Che si comprenda questo: io ho amato il Maligno, lo amo
ancora, per questo ne conosco il Nome, l'Essenza, l'azione notturna.
…. Sulle cime selvagge del Caucaso silenzioso, nelle valli
rocciose dei suoi crinali da cui sono sciamate le razze e i popoli la cui
missione fu ed è quella di combattere il male, ho visto l'ombra gigantesca del
Maestro del Passato incrociare le braccia in un atteggiamento di sofferenza.
Dei serpenti gli mordevano il ventre piatto e un fango
vischioso saliva fino alle cosce.
Egli fissava lo sguardo sulle rose in boccio del mio
giardino e lacrime di ghiaccio gli arrossavano le palpebre.
- Oh! – gridò con una voce sepolcrale. – Oh, Xenophonta! Ho
posseduto un impero! Ma le acque son giunte annegandomi i servitori e inondando
il giardino dai grappoli dorati. Le mie greggi sono morte nel disgelo e i miei
servi dispersi. Non ho più nulla da offriti, non ho più oro per comprarti.
Queste ultime parole risuonarono nella notte arida delle
montagne come un amaro rimprovero, come una immensa sofferenza.
Mi strussi d'amore per quell'urlo terribile, adorai
quell'insondabile impotenza.
- Chi sei tu ?Tu che rimpiangi la sorte!- esclamai
spaventata.
- Sono colui il cui nome non può essere pronunciato, perché
la lingua che lo pronuncia si è estinta … Xenophonta, non posso comprarti e per
questo non sari mai la mia donna.
Il fantasma scomparve avvolto dal sibilo selvaggio dei
venti, che si alzarono subitanei come il latrato prolungato di tutta la Natura.
Le rose del mio giardino ne rimasero scosse fino al mattino.
All'alba, quando la tempesta si fu calmata nel blu metallico
delle ore antelucane, risalii sulla terrazza per ritrovare colui al quale avevo
ormai offerto il mio cuore. Le montagne erano le stesse, i loro profili alteri
erano severi e rigidi come prima, la neve li ricopriva sempre, appena livida
per il riverbero del cielo, ma nel respiro freddo delle foreste e nel brusio
cristallino dei torrenti, il Caucaso, il mio Caucaso, non era più lo stesso.
Ah, sì! C'era il Maestro del Passato. "I servi sono annegati!"
quest'urlo era ovunque, niente lo affievoliva.
Nacque allora nel mio intimo un desiderio violento e mi
sarei squarciata il ventre se il mio sangue sparso sulla neve avesse avuto il
potere di sciogliere i ghiacci e far rinascere i pascoli di chi si disperava.
Ma il mio sangue non era che una goccia in quell'oceano di ghiaccio, e che
poteva questa goccia contro tanta sciagura?
Il sole, a un tratto, apparve. Ancor rosso per un sonno
troppo lungo, il suo bagliore non offendeva gli occhi. Il suo disco faceva
capolino fra due cime e sembrava che le pareti rocciose palpitassero per la
gioia.
- Oh, Sole! – dissi , sicura che l'astro avesse una
coscienza umana. – Perché non sciogli questo ghiaccio, perché non fai rinascere
le ricchezze sepolte?
Distintamente, udii questa risposta:
- Tu eri sua schiava ed io ti ho liberato. E' per rimetterti
ai ceppi che egli invoca le sue ricchezze, ma non le riavrà. Io ti voglio
libera, o donna; tu e i tuoi figli.
- Chi è "lui"? – domandai, e le mie mani si erano
fatte fredde.
- Il suo nome è dimenticato e la lingua che poteva
comprenderlo non sarà riscoperta, poiché io ho mutato la gola dei mortali
affinché nessuna sillaba di questa parola maledetta possa più penetrare in un
cervello umano e sconvolgere il corso delle cose …. Xenophonta, guai a te se ti
leghi a questo defunto.
L'urlo stridulo di un grosso uccello da preda interruppe il
discorso del Sole e udii cadere giù nella valle ove ora brillava una luce
intensa. Da rosso che era, il Sole era adesso divenuto quasi bianco e i miei
occhi non ne sopportavano più il fulgore.
Il rapace planò con larghe spirali sopra il castello dei
miei genitori. Fatto curioso, non ne restai spaventata. Avvertii in ciò una
protezione; una forza di cui ignoravo la provenienza. Infatti l'uccello, dopo
qualche giro silenzioso, cambiò idea e s'involò in un'altra direzione.
Ci fu allora un arridere radioso della Natura cui
partecipavano il cielo, le nevi e le rose.
La rugiada si era da poco posata sul terrazzo e avvertii un
brivido lungo le gambe. Involontariamente, piegai le ginocchia e le mie mani si
congiunsero da sole per pregare. Tuttavia le mie labbra non pronunciarono le
consuete parole. Quelle che dissero furono più o meno le seguenti:
Signore!
Potenza! Vita!
In
quest'ora mattutina
Ascoltami!
Le mie rose
pregano con me
E il mio
sangue vivifica la mia preghiera.
Togliete le
lacrime di ghiaccio
E spegnete
anche il fuoco.
Ordinate
che le piaghe si richiudano
E che la
gioia si diffonda a tutti.
Signore, perdonate,
perché tutto il mio copro perdona.
Perdonate,
O Eterna Potenza,
A Colui che
soffre e piange ininterrottamente.
Non
maledicete chi tema di spavento,
Accogliete
nella Vostra immensa gioia
L'Ombra del
passato, l'Ombra del Nato –per -Primo.
Cambiate il
Male in Bene,
Mutate in
virtù il delitto.
Diffondete
ovunque la Vostra imperscrutabile saggezza,
E
perdonate, O Potenza, ciò che io perdono.
Poiché Voi
siete la vita, l'ordine, e il canto di allegria.
Perché Voi
siete la vita, l'ordine, e il canto di allegria.
Perché voi
siete il fiume e le vostre acque tutto trascinano
Siate
clemente, O Trinità armoniosa!
Perdonate,
perdonate, perdonate!
Mi ero prostrata sul pavimento della terrazza quando
l'ultima parola di questa preghiera mi serrò le labbra. Un lungo bacio vi
bruciava ancora.
NASCITA ALL'AMORE
La vita umana non consta soltanto di fatti e accadimenti
materiali accessibili all'osservazione comune. Spesso, la vera esperienza è
altrove, al di là del piano fisico, ma ci proibiamo di ammetterne la realtà. In
tal modo ci impoveriamo enormemente privandoci dell'essenziale, cioè della
possibilità di comunicare con le grandi forze diffuse nella Natura. Il nostro
sapere si limita a ciò che è verificabile dalla conoscenza cerebrale e così
accorciamo il ritmo della nostra vita. A causa di ciò invecchiamo, in quanto
andiamo ad ostruire il collegamento che ci unisce alle radici e solo grazie al
quale ci è offerta la possibilità di partecipare dell'eterna giovinezza
dell'universo. Siamo come la foglia che si stacca dall'albero della vita:
"si increspa e ingiallisce e il vento la porta dove vuole".
Adamo colse il frutto dell'Albero, seppe così qual è la
destra e quale la sinistra, l'alto e il basso, il lungo e il corto; ma, con
questo gesto, sancì il principio dell'immortalità, la Morte, che da quel giorno
si diffuse su tutta la terra. Per non sentire più la voce dell'antro della donna,
vi appose un suggello: il primo vestimento. Così disse ad Eva: "Starai
lontana da me, perché tu sei la tentazione".
La donna ne morì e scordò la verità ma, nelle generazioni
che seguirono, la fede nella sua vittoria rimase intatta…. Prosternata sul
pavimento della terrazza dei miei antenati, al cospetto del maestoso Kasbek,
avvertii che questa fede si andava riaccendendo in me come una nuova sorgente
di luce: il bacio appassionato dell'Ombra ne era la conferma.
Mi sollevai a malincuore dalle lastre di pietra che erano
già diventate calde per la consueta rapidità del sole nel compiere la sua
parabola ascendente; mi domandai se dovevo raggiungere i miei oppure scendere
in giardino per calmare i miei sensi. Tale era il mio turbamento che la scelta
tra le due alternative mi fu difficile.
La terrazza non aveva una comunicazione diretta con gli
appartamenti abitati. Una rustica scala, fatta di pietre non squadrate, portava
dal lato nord al lato est del grande balcone a pianterreno, e da lì, sempre a
nord, una piccola scala di ferro consentiva di scendere nel cortiletto dove
vagavano in libertà da mane a sera i pavoni e le oche del pollaio. Un cane da
guardia vi passava dormendo il tempo che aveva a disposizione.
Decisi di scivolare come un ladro davanti alle porte e le
finestre del pianterreno, per potermi presentare agli animali prima di ogni
incontro che avessi potuto fare con gli umani … le mie rose mi attiravano,
perché da esse speravo in un aiuto.
Feci il percorso con studiata lentezza gettando ai pavoni
un'occhiata di biasimo perché ne temevo di certo il rimprovero. Arrivata sul
prato dove fiorivano le mie rose, mi misi a correre. Perché? Non avrei saputo
dirlo.
In questo paese selvaggio, dove la civiltà occidentale non
può fare presa, a causa dell'impossibilità di sfruttamento commerciale delle
sue montagne, una corsa troppo precipitosa comporta diversi pericoli: ci sono
dei ruscelli profondi e vorticosi, rocce enormi che sbarrano all'improvviso il
cammino, tronchi secolari rovesciati dagli uragani e che nessun braccio profano
oserebbe mai sollevare, poiché tutti rispettano questi cadaveri sacri; si sa
che si tratta di altari, su cui si compiono riti misteriosi, che solo i più
puri possono conoscere.
Com'è potuto accadere, dunque, che io abbia compiuto questa
corsa senza fermarmi una sola volta? Spiegatelo come preferite; la verità è che
arrivai nel pieno della foresta in un lasso di tempo che mi sembrò un secondo.
Mi arrestai al cospetto di una quercia gigantesca e, come se qualcuno mi avesse
d'improvviso acceso d'entusiasmo, esclamai con la più normale delle voci:
- Eccomi!
Faceva molto caldo e non c'era vento. La Natura era immobile
e come paralizzata dai raggi del sole che si infiltravano dappertutto
attraverso il fogliame e i rami. Tuttavia, una sorda agitazione regnava
ovunque: l'atmosfera, l'erba, i rami secchi.
- Eccomi – dissi ancora, come se una risposta dovesse
venire, ma questa si faceva attendere.
Capii che dovevo dirlo una terza volta.
- Ecco, son qui, in ascolto – dissi, quasi che fosse necessario
e, in effetti, giunse alle mie orecchie un flebile sospiro.
Non ne capivo ancora il senso e rimasi immobile più a lungo.
- Sei venuta, vedo – fece una voce lontana. – Ma tu non mi
conosci. Tu mi ami, è vero, ma non me , chè non sai chi io sia. Il peggio è che
il giorno in cui mi conoscerai davvero, avrai orrore di me.
Dal più profondo del mio essere, lo assicurai del contrario.
La voce ebbe allora come un barlume di vita e mi parve quasi
di intravvedere una forma. L'illusione svanì ben presto.
- No, no, non posso crederti ora – lo sentii dire, e potessi
descrivervi il dolore che c'era in queste parole! – Come puoi tu amarmi dal
momento che non mi conosci per niente?
- Mettimi alla prova – dissi.
Di nuovo, avvertii una specie di gioia nell'essere invisibile,
gioia che si dissolse ben presto, come la precedente.
- Vieni qui all'una di notte, quando farà freddo e i
serpenti danzeranno in circolo. Poiché sei tu che lo chiedi, io ti metterò alla
prova, ma sappilo: non credo alla tua forza.
Cosa potevo aspettarmi di più disarmante di questa risposta?
Tuttavia, adorai quest'offesa come ne avevo adorato l'impotenza.
- Questa notte, quando tutto dormiva, tu mi hai mostrato le
tue piaghe – dissi timidamente, - ed il tuo bacio ancor mi brucia. Credi che ti
avrei voluto, se non ti fossi mostrato?
In quel mentre, accanto a me, udii un gracidio, e una rana
verde fece un rapido balzo. I rami della vecchia quercia ebbero un fremito, ed
un uccellino, disturbato, volò via.
- Di notte, molte cose appaiono in una strana luce – riprese
quel Signore che avevo implorato, - ed io posso permettermi certe apparizioni.
Tuttavia è reale solo ciò che appare tale senza interruzione.
Quest'affermazione mi lasciò interdetta, e mi sentii
infinitamente piccola davanti a qualcosa di enorme, che insufflava nelle parole
dette una fierezza senza limiti. Non ero altro che una rassegnazione priva di
voce.
- Ti aspetterò, quindi, qui, stanotte, alla una – furono le
sue ultime parole che mi carezzarono le orecchie.
Mi appoggiai al tronco rugoso della quercia, perché ciò che
provai in quell'attimo era così pieno di fascino che volli lasciarlo penetrare
in ogni mia fibra, in ogni organo. Allo stesso modo l'acqua penetra la spugna,
che non le offre alcuna resistenza.
Passò un lungo quarto d'ora. Ero ancora immobile, incollata
al tronco della quercia, quando un grazioso animale, ritto sulle delicate zampe
e coperto da una pelliccia corta e liscia, mi si arrestò davanti. Nei suoi
occhi a mandorla brillava una dolce aria di scherno.
Che fai là? sembravano dirmi quei suoi occhi. A quest'ora
non è più questo il tuo posto.
Infatti gli umani hanno le loro dimore tra le pietre, con
cui edificano le loro case. Essi sono i nemici delle libere bestie selvatiche
per le quali, queste, sono come una prigione.
Le severe mura del castello dei miei avi mi richiamavano al
mio posto.
Quando tornai sul balcone sovrastante il cortiletto dei
pavoni e delle oche, vi trovai la mia famiglia già riunita per il pasto; ma
tanta è la libertà concessa tra noi alla ragazza che ha terminato i propri
studi, che nessuno se la prese nel vedermi scavalcare senza parlare la finestra
basse che si trovava esattamente di fronte alla scala di ferro. Vi avevo detto
che si trattava dell'angolo a nord del castello. Non scordatelo, poiché ciò ha
la sua importanza: il nord ha una sua speciale magia.
L'appartamento nel quale ero entrata era una specie di sala
da ballo. Delle sedi bianche e dorate erano allineate lungo i muri ed un grosso
pianoforte a coda occupava tutto l'angolo meridionale.
Nessun tappeto, e nessuna tenda alle finestre.
Da questa sala si aprivano molte porte su quel corridoi che
bisognava attraversare per giungere fino alla scala che conduceva al piano dove
si trovavano le varie camere da letto. La mia era esattamente sopra la sala da
ballo, con sei finestre; tre a nord-est e tre a nord-ovest. Esse erano
provviste di lunghe tende color turchino cupo in tele ucraina ricamata.
Il mobilio era molto semplice: un lettino nell'angolo
interno, un robusto canterano, qualche sedia, un piccolo divano turco, uno
scrittoio: in breve, lo stretto necessario per una persona che non ha molto da
fare.
Nell'angolo a est, così come è d'obbligo tra gli ortodossi,
le sante icone nel loro tradizionale armadietto triangolare.
Mi posi di fronte ad esse e mi inginocchiai per la
preghiera.
Cos'è la preghiera per un'anima abituata al rito della
Chiesa Orientale?
E' il caso di spiegarlo, visto che chi mi legge è senz'altro
cattolico o, per lo meno, persona cresciuta secondo la mentalità cattolica. Per
costui, per questo presunto lettore, pregare significa obbedire a una legge
della Chiesa, di cui solo i capi sanno a cosa serve. Pregare, per i cattolici
ordinari, significa compiere un dovere al fine di ricevere in cambio una
protezione e una grazia celeste.
Non è affatto, come per gli ortodossi, un mezzo per entrare
in comunicazione diretta con la Divinità, della quale assorbiamo effettivamente
l'essenza. Non è certo quest'atto di supplica senza domanda che ci rapisce
l'anima e ci eleva, senza che sia pure necessario pronunciare o pensare delle
parole.
La nostra preghiera, del resto, tra noi non è chiamata con
questo nome. La parola che adoperiamo, molitva, significa
"influenza", e la intendiamo come significante uno stato di santità
in cui sono assenti tutte le preoccupazioni materiali; noi ci attiriamo la
forza del Cielo.
Tra noi si prega come sic anta, quando ci si stente
trasportati al di là della terra, ed era questo il mio caso nel momento
descritto.
L'icona, che io fissavo supplicando, era una di quelle
immagini bizantine ricoperte di vecchio argento annerito che tutti conoscono.
Essa rappresentava San Sergio dei Miracoli che, si dice, fu
il fondatore del monachesimo in Russia. Il suo viso si intravedeva appena, ma
il metallo che figurava i suoi abiti risplendeva misteriosamente sotto il
bagliore giallo della lampada votiva che bruciava notte e giorno sul tavolino.
Non deve stupire, essendo scontato lo stato d'animo nel
quale mi trovavo allora, che il volto appena visibile di San Sergio assumesse
ai miei occhi dei tratti inconsueti.
I suoi occhi si animarono e vi scorsi uno sguardo reale.
Invero, non quello del grande Santo, bensì quello dello Sconosciuto al quale mi
ero data.
Vi confesserò dell'altro ancora. Poco a poco, la mia
preghiera, la mia molitva, produsse una vera fusione tra il mio essere
interiore con il Mago torturato che adoravo da più di dodici ore. A mano che i
secondi trascorrevano, questa fusione si intensificava, e a tal punto, che mi
ridussi a non sentirmi affatto, anche fisicamente.
La dolcezza di simile sensazione è difficile da partecipare;
ogni parola è troppo debole e specifica paragonata a questo meraviglioso stato
di beatitudine assoluta. Pensate a una carezza senza nessun toccamento, un
tepore che non ha nulla di carnale, mille baci che non si posano da nessuna
parte. Se siete in grado di immaginare la gioia tutta particolare che sprigiona
da tali carezze, voi vi sarete fatti una vaga idea di ciò che io avvertii in
quell'istante e sarete d'accordo con me che nessun comune mortale, cioè uno
come tutti, è in grado di mettere una donna in una condizione di delizia così
grande.
Tutto il mio essere gioiva di questa non esistenza
voluttuosa e la forza da cui ero inebriata non aveva limiti. Era l'immensità
dell'infinito che mi assumeva cancellandomi, ed io mi sentivo immensa senza
essere….
Oh, perché la pendola, nel corridoio, suona stupidamente
l'ora che mi strappa a questa magia? Tre rintocchi metallici, indifferenti,
freddi.
Mi misi in piedi e guardai all'intorno. I mobili non si erano
mossi, nulla nella mia camera aveva partecipato all'incantesimo.
Mi stesi sul letto e chiamai la mia vecchia balia.
Arrivò con molta calma, senza bussare, dicendomi con la sua
voce carezzevole:
- Solo adesso ti fai venire fame?
Infatti, ero digiuna dalla mattina.
- Portami del latte e del pane nero – le dissi.
Essa se ne andò così com'era venuta, molto placida, lenta e
tornò una Mezz'ora più tardi con i cibi che le avevo chiesto.
- Ci sono visite in salotto – disse, deponendo il vassoio su
una sedia vicino al letto. – Dei vicini che passeranno qui la notte.
- Niania, dì a mia madre, se domanda di me, che non scenderò
che domani mattina. Le visite mi infastidiscono.
- Come vuoi, animuccia – rispose la vecchia donna. – E' però
più facile che nessuno domandi nulla, visto che sei in vacanza e ti godi la tua
libertà … Si sta preparando l'appartamento meridionale per i visitatori –
aggiunse.
- Tanto meglio – feci io, senza neppure sapere perché.
Costruire le case secondo un esatto orientamento rispetto ai
punti cardinali ha un'importanza fondamentale che, tuttavia, gli europei
trascurano del tutto, dato che essi hanno perso il significato reale della
croce che unisce e divide allo stesso tempo il nord col sud e l'est con
l'ovest.
Il nord rappresenta l'immobilità, l'assenza del dinamismo
eternamente mutevole della vita. E' il rifugio dell'intelletto, poiché, solo,
lascia a quest'ultimo il riposo necessario per una riflessione astratta senza
turbarlo con nuove influenze.
Se ci fosse solo il nord, l'uomo sarebbe tutto, perché tutto
sarebbe molto calmo per permettergli di vedere ogni cosa nei suoi minimi
dettagli.
Ci sarebbe sempre la notte e l'uomo ne sarebbe il re.
Il sud, al contrario, rappresenta la scaturigine della vita
perpetua. E' il punto d'elezione che vivifica i nostri organi vitali, quelli
che l'intelletto ha vergogna di vedere, perché gli ricordano continuamente la
sua insufficienza, la sua incapacità di seguire la corsa vertiginosa
dell'Universo, la sua mobilità, le sue modificazioni capricciose.
Se non ci fosse che il sud, sulla terra ci sarebbero solo
animali selvatici.
Gli intermediari, est ed ovest, sono le comunicazioni tra i
due estremi , tanto che l'est qualifica l'uomo che viene dalla Vita e va verso
la Stasi o la Morte, mentre l'ovest è il punto in cui il Morto ritorna verso la
Vita e prepara la Rinascita. Tuttavia, l'ovest porta in essenza gli elementi
della Morte.
Quando una casa è costruita conformemente alla scienza dei
punti cardinali dell'orizzonte, l'uomo può dormire la notte con la testa al
nord e piedi al sud. In tal modo, il suo intelletto si calma realmente durante
il riposo, e la Vita, sempre feconda nella penombra, non trova ostacoli per
penetrare nel corpo secondo la legge naturale: dal basso in alto.
D'altra parte, giustamente orientato, il corpo addormentato
dell'essere umano riceve, attraverso il proprio braccio destro e gli organi a
destra disposti, gli elementi della spinta ricostruttrice delle forze
universali, mentre dalla sua parte sinistra – al suo braccio sinistro e dal
cuore soprattutto – si scarica l'eccesso destinato a morire, cioè a decomporsi
per ritornare alla Radice, al centro della Terra, ove arde il fuoco
rigeneratore.
Vi mostrerò subito il perché di queste parole.
IL BATTESIMO
Dopo che ebbi bevuto il latte e mangiato il pane nero e che
la niania se ne fu andata - non senza avermi detto che i visitatori, per i
quali si era apprestato l'appartamento meridionale, erano la famiglia
Wassilkowsky, padre, madre, e figlio, e che si sarebbe dato un ballo quella sera
- avvertii il bisogno di dormire.
Allo scopo chiusi le sei coppie di tende alle finestre
lasciando quest'ultime spalancate e mi spogliai degli abiti che mi stringevano
il corpo.
Dal massiccio canterano estrassi una lunga vestaglia di seta
grezza, interamente intessuta di ricami arabescati - i quadrati, i triangoli,
le stelle, che costituiscono ciò che si chiama un disegno alla russa, ma che è
in realtà la decomposizione frammentaria della scrittura sacra di un popolo
mongolo estinto o dispersosi nella sconfinata pianura russa, dopo due secoli di
trionfale invasione - e l'indossai direttamente sopra la camicia.
Gettai tutti gli abiti smessi sul divano turco addossato
alla parete di sud-est, molto vicino al letto, il quale seguiva la diagonale
sud-nord della stanza fino al piccolo paravento a tre ante che ne copriva il
capezzale.
Vidi così sulla sedia gli avanzi del mio pasto.
Chissà, potrebbe venirle l'idea di portarli via, mi dissi e,
per evitare la fastidiosa eventualità, portai il vassoio nel corridoio,
depondendolo per terra, a destra della porta.
Rientrata in camera, rimisi ancora a posto alcuni fogli di
carta che svolazzavano sullo scrittoio. Era una precauzione utile perché, posto
in piena corrente d'aria tra le finestre aperte, questo mobile diventava
davvero un luogo poco sicuro per le esternazioni liriche che avevo confidato a
quei fogli.
Brucerò senza dubbio tutto ciò, pensai quasi ad alta voce.
Non sono che stupidaggini, scritte per qualcuno che non ne sa niente.
I fogli disparvero nell'unico cassetto ed io mi portai verso
il letto.
Debbo ancora informarvi, cari lettori, di un ultimo
dettaglio: nella stanza, così come in tutti gli appartamenti di ogni ragazza
russa di buona famiglia, non c'erano specchi, poiché si riteneva generalmente
tra di noi che una ragazza di buoni costumi non si cura di essere bella. C'era
invero, vicino alle mie icone, un comodino da toilette con una casta tendina
bianca che celava alla vista i piccoli oggetti indispensabili all'igiene del
corpo e dei capelli, ma lo specchio, simbolo di aperte libertà, non vi avrebbe
fatto apparizione che il giorno del mio fidanzamento. Per il momento, il suo
posto era segnato da una vite infissa nell'esile supporto che sosteneva la
tendina ad una certa altezza sul ripiano. A questa vite avevo sospeso, il
giorno di Sant'Ivano- delle-Acque, una ghirlanda di fiori campestri. Ne
sopravviveva ancora il nastrino rosso e oro e qualche gambo secco.
Prima di coricarmi, sciolsi le trecce di un color biondo
scuro leggermente ramato, facendo quest'ultima considerazione: Bisognerà che
dorma profondamente per essere ben sveglia questa notte... alla una.
Queste ultime parole si aggiunsero alla frase
indipendentemente dalla mia volontà, ed io le ripeti con decisione: Sì, alla
una.
Detto ciò, mi addormentai sul piumone.
Secondo la mia esperienza, quando si dorme si sogna sempre,
ma la memoria non registra sempre le scene e i soggetti che si presentano al
nostro spirito, se dall'esterno un'impressione analoga non cattura e traduce in
termini di possibilità reale (fisica) il percorso fantastico del sogno.
Se potessimo trattenere nella memoria i sogni ogni volta che
sogniamo, la nostra vita ne sarebbe enormemente arricchita, poiché il nostro
essere intimo, libero dalla prigione e dallo scetticismo del corpo durante il
riposo, apporterebbe al nostro intelletto un campo di osservazioni e di
conoscenze immensamente utili per la comprensione dello Sconosciuto, cioè di
quest'ambito cosmico dove le forze sono esseri e i fenomeni effetti plastici di
un gioco divino, a volte simile e contrario a ciò che ci passa comunemente
davanti agli occhi.
In questo giorno della mia consacrazione all'ombra tragica
del "Maligno", una circostanza specialissima, di cui vi informerò
subito, mi permise di memorizzare il sogno sbalorditivo che feci.
Vedevo da principio un campo su cui non crescevano che
erbacce con, qua e là, qualche piccola duna di sabbia che il sole, fin troppo
ardente, illuminava di un giallo brillante dal chiarore insostenibile.
In mezzo al campo, si andava formando poco a poco un
ruscello ed ebbi l'impressione, per quanto incerta, di trovarmi su una specie
di barca che si faceva strada a fatica tra la sabbia umida delle due sponde.
In seguito alla sforzo che feci per spiegarmi la curiosa
situazione della barca nello stretto ruscello, quest'ultimo si allargò,
rapidamente ed enormemente, e d'improvviso uno scossone spinse l'imbarcazione
in una baia che si apriva al largo su un orizzonte blu intenso.
I barcaioli e i pochi passeggeri dell'imbarcazione gridarono
di gioia e, nel momento preciso in cui mi domandavo il motivo di questa
allegria, vidi, alto sull'orizzonte alla nostra destra, un disco di smeraldo
splendente.
Non ebbi il tempo di chiedermi che fosse poiché il disco
aveva già assunto le sembianze di un orologio, coi dodici numeri incisi in oro
scintillante.
L' "1", specialmente, pulsava come se una vita
prorompente vi si dibattesse. Era posizionato a sinistra del "12", il
che stava a significare che l'orologio camminava nel senso inverso di quelli
comuni.
Posti tutta la mia attenzione su questo "1"
curioso, e mi sembrò che un filo rosso se ne dipartisse attorcigliandomi in
zig-zag e spirali bizzarre attorno agli altri numeri.
Ma come ebbi l'intenzione di seguire il filo per distinguere
le diverse evoluzioni, l'ombra nera di un dito gigantesco si affacciò sul
quadrante, come se volesse indicare esclusivamente l' "1".
C'era, nella volontà imperiosa di questo dito, un formale
divieto di osservare il resto.
- Alla una! - gridai a me stessa.
E questo grido mi risvegliò.
Come descrivere senza procurarvi disagio la situazione
spiacevole e penosa in cui mi venni a trovare?
I due lembi della mia ampia vestaglia pendevano dai due lati
del letto, come se fossero stati ali ferite. La camicia mi era stata rimboccata
fino al collo e il ventre virginale si offriva in tutta la sua nudità alla
vista di un uomo giovane che stava seduto alla mia destra in atteggiamento poco
rassicurante, proprio lì dove, una o due ore prima, era stato lasciato il
vassoio col latte e il pane.
Riconobbi immediatamente il giovane Wassilkowsky, Mischa; e,
tremando di vergogna, saltai giù dal letto e corsi alla finestra, avvolgendomi
nel tendaggio.
- Con quale diritto siete qui? - gridai fuori di me. - Chi
vi ha permesso di entrare nella mia camera?
Mischa non si scompose. Aveva un'aria stupida e tutta la sua
larga faccia, tra le ciocche in disordine dei suoi biondissimi capelli,
sembrava quella di un ebete, priva di ogni pensiero.
Estrasse dalla tasca dell'abito un grosso fazzoletto bianco
e vi strinse attorno la sua mano destra.
- Uscite di qui.... subito... immediatamente - continua
infuriata. - Se non ve ne andate, chiamerò aiuto, tutta la famiglia, la
servitù.
Mischa si alzò a fatica. Si tenne in equilibrio e, con la
mano destra sempre stretta al fazzoletto, si portò al centro della stanza
balbettando, con un sorriso sciocco:
- Non capisco cosa vi ha preso. Non ho fatto niente di male.
E' per sbaglio che sono entrato qua dentro.
- Per sbaglio? Ed è per sbaglio che si entra in una camera
che non è la propria? Uscite, uscite, che chiamo la mia domestica.
Questa esplicita minaccia lo riportò subitamente alla
realtà. Tolse la mando dal fazzoletto che rimase in tasca, non senza tuttavia,
gettarvi un'occhiata colpevole.
Adesso guardai anch'io quel fazzoletto e vidi, cosa che mi
spaventò assai, delle macchie rosse... Si sarebbero dette di sangue.
- Vi siete ferito? - domandai.
Un ampio sorriso d'imbarazzo scoprì allora i denti regolari
e bianchi di Mischa.
- Non è nulla - disse. - Il fazzoletto era già sporco. Non
ho fatto niente, ve l'assicuro.
- Come vi è venuta l'idea di entrare qui dentro? - chiesi
ancora mentre cominciavo a calmarmi.
- Così - fece Mischa. - Cercavo il bagno, ho visto un
vassoio per terra e sono entrato. D'altronde la porta non era stata chiusa a
chiave.
- Bella scusa! - risposi senza riuscire a fare a meno di
sorridere, perché Mischa in quel momento era davvero buffo e non meno ingenuo.
- Noi non ci troviamo in certe terre selvagge in cui un vassoio per terra è un
chiaro invito ad entrare. Mischa, vedo che siete un po' fuori di testa.
Andatevene e non dite a nessuno che siete entrato qui.
Cosa gli prese allora, non saprei spiegarmelo. Si gettò su
di me come una furia, e ci fu nella mia camera di ragazza vergine una scena
orripilante: un corpo troppo debole per difendersi dall'abbraccio violento di
un maschio scatenato.
La mia camicia era una pessima protezione di fronte alla
foga impetuosa di quel ragazzo di ventiquattro anni, e ricordo ancora bene la
sensazione, da principio di ripugnanza poi subito curiosamente ammaliante, che
avvertii prima lungo i fianchi, poi sulla gola e lungo la schiena.
La mia resistenza stava rapidamente venendo meno e Mischa,
che se ne era subito resto conto, premette con forza le proprie labbra carnose
e tumide sulla mia bocca dischiusa. La sua lingua cercava la mia, la trovò, la
sfregò rudemente.
- Oh, che orrore! - gridai rovesciandomi all'indietro e
respingendo con tutte le mie forze l'aggressore. - Siete un mostro! Andatevene!
Mischa mi teneva la vita, con entrambe le braccia
allacciate.
- Oh, no! - disse. - Adesso non me ne vado più. D'altronde
tu sei mia. Ti ho conquistato. Mi appartieni.
- Mostro! Mostro! - urlai. - Tu hai forzato le mie labbra.
E' un bacio che non ti appartiene. Nono sono affatto tua, io sono di un altro,
di un essere immenso di fronte al quale tu sei nulla.
Ci fu allora uno scatto di collera inaudita nelle mani forti
e in tutto il corpo di Mischa. I suoi piccoli occhi grigi mandarono lampi
d'ira. Si irrigidì un istante, affondando le unghie nella mia pelle attraverso
la stoffa della vestaglia, ma esclamò subito, in tono di trionfo.
- In ogni caso, questo qualcuno a cui tu dici di appartenere
non è stato capace di diventare il tuo signore!
Che cosa intendeva dire con quelle parole?
Mischa lasciò la presa come un contendente che si sa
vincitore e, dopo aver fatto qualche passo lungo la camera, prese la sedia
vicino allo scrittoio e si sedette tranquillamente.
Io intanto mi reggevo in piedi come un condannato al centro
dell'aula del tribunale.
- I miei servi, i miei servi sono annegati! - udii piangere.
Mischa ruppe per primo il silenzio.
- Xénia - disse con vece diventata dolce, - siediti là,
davanti al tuo scrittoio. Il mobile farà da separazione tra noi due, e tu
potrai spiegarti con calma.
Passivamente, obbedii. Mi sedetti di fronte a Mischa posando
le mani sul fermacarte in granito. Si ha bisogno di toccare qualcosa di solido
quando si è turbati.
- Spiegati, adesso - mi ordinò Mischa.
Lo fissai senza sorpresa, come se inconsciamente gli riconoscessi
il diritto di avere con me quel tono autoritario. Gli dissi tuttavia:
- Non vi debbo alcuna spiegazione, voi invece mi dovete
delle scuse.
Mischa mi guardò con espressione altezzosa.
- Ah! - disse dall'alto della sua grandezza. - Ti dimentichi
che i Waisslkowsky sono dei liberi e fieri cosacchi del Don e non permettono
che gli si contenda la loro preda .... Io affermo il mio diritto come e quando
voglio.
- Se pensi di avere un qualsiasi diritto su di me, ti sbagli
di grosso - replicai astiosamente.
- Non ho chiesto la tua opinione sull'argomento - ribatté
Mischa. - Ciò che voglio conoscere è il nome e la residenza di quest'altro, di
questo essere immenso di cui parli con così patetica enfasi.
Un'ironia pungente accompagnò quelle parole. Mi montò il sangue
alla testa, mi avvamparono le orecchie e le lacrime cominciarono ad offuscarmi
la vista.
- Il suo nome non può essere pronunciato - dissi.
Ah, se ve lo assicuro! Sotto l'occhiata che mi lasciò
Mischa, quest'uomo determinato che mi scrutava fin nel fondo del mio essere, mi
sentii più nuda e indifesa di prima, quand'ero stessa sul letto con la
vestaglia aperta.
Fu un attimo. Mischa si appoggiò allo schienale della sedia
e disse:
- Tu non me lo vuoi dire, ma lo scoprirò da solo. Tanto
peggio per te, io la mia decisione l'ho presa...
Detto ciò, si alzò e uscì dalla camera.
La porta si aprì e si richiuse senza rumore.
LA PROVA
Mi sentivo mortificata, offesa, sporcata da questa brutale
intrusione nella mia anima mentre essa era rapita in dimensioni insondabili, da
parte dell'uomo insolente che era venuto per togliermi la verginità, come se
questo fosse stato un suo diritto, come se io stessa non fossi altro che un
terreno - una prateria o un pascolo - dove il maschio può giungere e dar ordini
secondo il suo piacimento.
Non sapevo cosa avesse fatto di concreto - non lo seppi che
più tardi e in circostanze che descriverò in seguito - ma il solo fatto di
essere stata cinta dalla sue braccia e di avere palpitato, non foss'altro che
per un istante, al contatto del suo corpo accalorato, costituiva per me un
degrado effettivo.
Ve lo confesso sinceramente: avvertivo tutto ciò come una
mia colpa, e ne bruciavo di vergogna.
Uscito Mischa, restai davanti allo scrittoio, le mani sul
fermacarte. Non sentivo il dovere di muovermi né di compiere il minimo gesto.
Si può avere una qualsiasi volontà, quando ci si sente indegni di vivere?
Ai miei occhi, il luogo del mio delitto assunse i connotati
di un'amara accusa.
Non potrò più servirmi di questo letto, pensai, ogni volta
che mi ci sdraiassi rivedrei la mia nudità esposta agli occhi di Mischa. Non
potevo più toccare la sedia dove si era seduto, mentre stavo dormendo. Non
potrei né chiudere né aprire la porta perché non potrei mai scordare che il
vassoio deposto da me sull'ingresso gli ha fatto da invito, da tentazione...
Ed il centro della camera, ove mi aveva abbracciata per
violentarmi, mi pareva essere sempre ardente per il fuoco.
Un luogo di perdizione, ecco ciò che è diventata la mia
stanza!
Il crepuscolo non dura a lungo nelle strette vallate del
Caucaso e, quando giunge la notte, la temperatura si abbassa bruscamente.
Una folata di vento, che mi parve ghiacciata, entrò tutto
d'un colpo nella camera dalle finestre rivolte a ovest. Essa mi strappò alle
mie triste riflessioni.
Prima di tutto, bisogna che mi vesta, mi dissi.
Presi dal cassettone un abito di lino ed altri dal colore
scuro e mi rivestii con lentezza. Avevo le braccia pesanti e le dita mi
obbedivano appena.
Mi rifeci le trecce e le fermai attorno alla testa, secondo
la moda del luogo. Scelsi pure uno scialle di lana uralica, nero, a trama
grigia.
Non è così che avrei voluto presentarmi al mio sublime
fidanzato della foresta, pensai malinconicamente, ma non posso fingere: non
posso vestire abiti allegri quando la mia anima è scolorita.
Mi preoccupai anche per camminare. Indossai delle lunghe
calze di filo nero e degli stivaletti che salivano fino ai polpacci.
Così sono vestita a lutto. Mi vorrà lo stesso?
Fui presa poi da un capriccio da bambina: andai al tavolino
da toeletta e staccai dalla vite la ghirlanda di fiori secchi, intrecciata il
giorno di Sant'Ivano- delle -Acque col nastrino dai colori simbolici, rosso e
oro.
Questa sarà la mia corona di fidanzata colpevole, mi dissi.
Bisogna che veda che aspetto ho.
Voi ricordate che non c'erano specchi nella mia camera. Per
giudicare l'aspetto della corona appassita sulla mia testa bionda, feci ricorso
al mio sistema abituale, d'altronde ben conosciuto da tutte le collegiali e
dalle novizie dei conventi; andai alla finestra e mi specchiai nel vetro del
battente aperto.
Lo specchio improvvisato mi diede il riflesso parziale di un
viso dolente, dagli occhi profondamente incavati. La corona sulla testa si
confondeva con le trecce e solo il nastrino rosso e oro risaltava nell'ombra,
come un bagliore fuggevole.
Il suo orologio aveva questo rosso!
Il pensiero mi attraversò la mente come un lampo e rividi,
ma rividi realmente, ad occhi aperti, pur senza riuscire a focalizzarlo, lo
strano orologio del sogno, nel momento in cui Mischa commetteva la sua
spregevole azione.
Prendi carta e matite colorate, mi disse una voce interiore.
Andai allo scrittoio, presi un gran foglio bianco di
cartoncino, e misi a portata di mano una serie di matite: rossa, blu, gialla,
bianca e nera.
Rimasi in piedi.
Traccia un cerchio perfetto, mi ordinò la voce.
Non sono mai stata versata in disegno, ma il cerchio che mi
riuscì di tracciare allora, a mano libera, fu quasi perfetto. Tra il punto est
e quello nord, solamente, c'era un po' di tremolio, ma la sua voce mi disse:
Non correggere nulla.... Adesso, traccia le ore.
Cominciai: "12" al Nord, "1" alla sua
sinistra; poi, seguendo questa stessa direzione e ad intervalli regolari:
"2", "3", "4", "5", "6",
"7", "8", "9", "10", "11".
Scrivi "2" sopra le "11", all'esterno
del cerchio.
Obbedii.
Scrivi "3" sopra le "12", all'esterno
del cerchio.
Cosa che feci.
Metti "5" sopra l' "1", al di fuori del
cerchio.
Anche ciò fu fatto.
Dal "2" nuovo al "5" nuovo_ disegna una
curva parallela al cerchio .... Scrivi in testa: "La mia nuova
formazione".... Scrivi a margine: "Il valore complessivo delle ore
intermedie è 54, cioè 9. Questo numero è la cifra simbolica dell'ERA che io
combatto, poiché è essa che MI PRIVA DEL MIO CORPO.
M'industriai a scrivere tutto ciò con la più bella delle
calligrafie ma sentii, non più all'interno di me ma all'esterno, e quasi
sussurrata, questa frase che mi riempì di spavento:
- Ho bisogno di una donna e di un uomo, per rinascere da
loro due.
- Debbo scrivere anche questo? - domandai.
- Scrivilo in rosso e lascia cadere sulla quinta parola una
goccia del tuo sangue.
Presi la matita rossa e scritti: "Ho bisogno di una
donna e di un uomo, per poi rinascere da loro due".
La goccia di sangue .... Dove prenderla? Ah! Il fazzoletto
di Mischa ne aveva. Forse ce n'è anche sul lenzuolo.
Feci una corsa.
Infatti!
Sentii ridere vicino allo scrittoio. Era un riso sarcastico,
ma il mio corpo ne ricavò un senso di voluttà.
Sì, c'erano delle macchie rosse sul mio lenzuolo. Non me ne
ero domandata l'origine, poiché in un istante compresi un mistero che avevo
totalmente ignorato fino a quel momento.
Misha ha fatto scorrere il mio sangue nel togliermi la
verginità ... per Lui! Gridai a me stessa.
Oh, che gioia che mi prese allora! Che felicità! Che
benessere!
- Tu mi accetti, dunque, o Tu, Martire Sublime! Tu hai
voluto il mio sacrificio per tornare ad essere felice!
Presi dal tavolino da toeletta un piccolo batuffolo di
cotone, l'inumidii con acqua fresca e gli feci assorbire il sangue dal lenzuolo.
Poi, tornata allo scrittoio, lasciai cadere una goccia di quell'acqua, così
arrossata, sulla quinta parola: donna.
Avvertii un profondo senso di serenità. Tutto si era
trasformato di fronte ai miei occhi. La pace dell'anima, ecco, io la conosco:
né bene né male, ma … tutto è utile.
- Non biasimiamo nulla ma sappiamo discernere il senso
profondo e la ragione necessaria di ogni avvenimento.
Questa frase si incise da sola nella mia mente e, come
un'allieva felice di ascoltare la lezione del Maestro, mi misi a sedere.
L'ispirazione mi venne ben presto. Senza alcuna esitazione,
presi la matita rossa e feci scorrere attorno alle ore del mio disegno un filo
di sangue, quello stesso che avevo visto serpeggiare nel sogno attorno ai
numeri dell'orologio. Le spirali e gli zig-zag si formarono da soli con
precisione sbalorditiva.
Quand'ebbi terminato, il cartoncino presentava un disegno
simmetrico tra i più curiosi. Il filo rosso divideva, partendo dall'
"1", l'estremità sinistra della curva che collegava le tre cifre del
nuovo ordine e raggiungeva, un po' più in là dell' "11", l'estremità
destra della curva formando, attorno al "3", al "6" e al
"9"[3],
rispettivamente tre spirali. Il "2", il "4", l'
"8", il "10", rimanevano fuori e il "5", il
"7", l' "1" e l' "11" all'interno del tracciato,
poiché ognuno di questi numeri occupava il centro di un angolo diverso, formato
dagli zig-zag.
L'insieme si configurava come una specie di stella a quattro
punte acute e a due ali rotonde. Tuttavia le punte, corrispondenti alle cifre
"1" e "11”, si confondevano nella circonferenza nera che
sovrastava il tutto come una cupola.
Cercai di investigare il senso di ciò che avevo disegnato.
Il valore complessivo delle ore intermedie è "9",
mi era stato detto. I tre numeri del nuovo ordine, "5" più
"3" più "2", formano "10". Sarebbe questa la
formula: dieci contro nove? E se fosse giusto, che significato avrebbe?
Avvenne allora qualcosa di straordinario a cui voi non
credereste, senza dubbio; ma, sul mio onore, dichiaro che è veramente accaduto:
la matita blu uscì da sola dal piccolo bussolotto di rame che la conteneva
assieme alle altre matite colorate, e si dispose verticalmente sulla cifra
"11", esattamente fra i due "1" che la compongono. Con
estrema rapidità, e sempre in posizione verticale, si mosse lungo il disegno,
dall' "11" al "2", da questo al "10", al
"4", all' "8" e al "6".
Sul "6" si fermò un istante e, madida di sudore a
causa dell'angoscia che mi aveva presa, intuii questo: il "6", nel
suo triplice cerchiaggio rosso, rappresenta un organo, nascosto nel mio corpo e
nel quale il mio Maestro vuole penetrare.
Perché?
La matita blu riprese la sua corsa, precipitandosi dal
"6" al "7", da questo al "5", al "9",
al "3", all' "11", all' "1" e poi passò a destra,
come un lampo, attraverso il "12" e fra il "3" e il
"2" della nuova formazione[4]
che brillavano in quel momento come diamanti.
Attorno a me si diffuse un profumo e intesi la caduta della
mia matita, distante sul pavimento.
- Mi occorrono una donna e un uomo – disse la voce
misteriosa, - per riconquistare il SEI.
Allora, nella spazio compreso fra i miei occhi e il disegno,
vidi comporsi in caratteri luminescenti l'immagine di un uovo, forato a
sinistra, dal quale si dipartì in direzione nord-est una scintilla elettrica
che lasciò dietro di sé una scia d'oro vibrante.
- Ah! Ecco perché! – dissi, quando l'immagine scomparve. –
Nell'oscura prigione del mio corpo, l'Essere torturato ritroverà la forza che
gli occorre per liberarsi … M'insegnerà Lui stesso cosa devo fare.
Appoggiai i gomiti sul tavolo e misi la fronte fra i palmi
delle mani. Ogni pensiero svanì dalla mia mente, e precipitai in un vuoto
profondo.
Mentre stavo in quella condizione, immobile e inerte, la
notte magica del Caucaso mi diffondeva intorno il proprio soffio vivificante.
FELICITA' NELLA PIANURA
FELICITA' NELLA PIANURA
Quando mi ripresi dall'assopimento, l'oscurità era già
totale e nella camera faceva freddo.
La prima preoccupazione fu quella di sapere che ora fosse.
A tastoni trovai la scatola dei fiammiferi al suo solito
posto tra il calamaio e la scatola della sabbia di cui mi servivo per asciugare
le pagine appena scritte. Accesi le due candele che si stagliavano sopra due
candelieri di argento massiccio, simili a due piccole colonne bianche e
tiepide, sopra i gingilli e le fotografie della mia scrivania.
Erano le nove.
La luce giallastra che si diffondeva a breve distanza dalle
piccole fiammelle tremolanti, creava nel resto della stanza delle ombre
fantasmagoriche, piene di mistero.
- Oh, vieni nell'ombra della mia camera! – dissi sottovoce.
Vieni dalla Tua fidanzata, che Ti adora e in Te confida.
Dille ciò che lei ignora e che Tu vuoi che sappia.
Affinché, vittorioso e senza più macchia
Tu possa mostrare il Tuo disco e proclamare la Tua
fede.
Ecco: in segno d'amore, accetto la dura croce.
La dolce musica che intesi allora mi parve essere la
risposta alla mia evocazione.
Mi abbandonai al suo ritmo agreste ed il pensiero mi si
confuse a poco a poco con la fascinosa melodia che languidi arpeggi involgevano
e accarezzavano, come una folla die chi amorosi.
"Oh! Vieni nell'ombra della mia camera" ripeteva
questa musica su note ora acute ore basse. "vieni ad insegnarmi ciò che
ignoro e che Tu vuoi che conosca. Ecco: io mi dono a Te e tutto il mio essere
Ti promette obbedienza.
Questa musica non è stata dunque una risposta, mi dissi.
- Essa promette l'obbedienza – disse in quel mentre una voce
pressoché umana.
Mi sembrò che questa prevenisse dalle finestre a est. Andai
da quella parte e rimasi stupita nel vedere che c'era della luce all'esterno e
che proveniva, mi parve, dal pianterreno.
Cercai di sincerarmene più da vicino e infatti vidi,
sporgendomi dalla finestra, che le tre aperture della sala da ballo, di cui ho
parlato prima, erano illuminate come nei giorni di gran festa.
E' vero, c'è un ricevimento stasera, niania me lo aveva
detto. Sono certamente tutti da basso; canteranno e danzeranno fino a notte
fonda. Ma, allora, io come farò a muovermi? bisognerà, è necessario, che mi
meta in cammino subito dopo mezzanotte, per arrivare alla grande quercia alla
una. Il pericolo di venire scoperta sarà grande.
Una strana idea, un impulso più che un pensiero, si
impadronì allora di me.
Danzerò con lui, mi dissi, e, a mezzanotte, porterò Mischa
con me.
Mi sentii tutta elettrizzata da questa decisione.
Sì, è proprio quello che bisogna fare… D'altronde, a Lui
occorrono una donna e un uomo… Mischa … Visto che è lui che ha cominciato…
l'opera … E soprattutto, non decidere niente in anticipo, lasciarsi fare, con
calma, passivamente.
- Essa promette la passività – pronunciò la voce
d'improvviso.
Vi assicuro che avevo paura ma l'idea che Mischa sarebbe
stato con me la notte, alla una, mi rassicurò.
- Chi è che parla? – domandai.
Fu la musica, ricominciando in quel momento, che mi rispose.
Per fortuna! Essa non mi spaventa come quella voce
misteriosamente umana. Intesi questo:
… Colui il quale ti chiama nel bosco da molto tempo,
Colui che cerca invano le rose sui gambi
Di questa pianta viva, dal vigore immortale,
Che per averti, infine, a me, voglio, esigo.
- Una pianta? Quale pianta? – dissi sbalordita. – Mischa
forse capirà meglio di me queste espressioni bizzarre. A proposito, sarà utile
scriversi tutto ciò.
- Cari lettori, vi racconto i fatti esattamente come sono
avvenuti. Forse vi troverete delle incoerenze e, spesso, un'interruzione del
filo logico ma, da parte mia, sarebbe sbagliato soddisfare le vostre
aspettative letterarie a discapito della verità.
Il mio scopo, scrivendo questo libro, è di porvi danti ad un
mistero che non si può comprendere attraverso il ragionamento discorsivo, di
moda, ahimè, da tantissimo tempo.
Il mistero che voglio svelarvi è il mistero della vita e,
quindi, ne consegue che solo attraverso le forme sostanzialmente caotiche di
essa io posso sforzarmi di aprirvi un passaggio fino alla Radice delle Cose
Eterne.
Pazientate, dunque, e
seguitemi.
Tornai allo scrittoio e sullo stesso cartoncino dov'erano
già il disegno magico e le iscrizioni di cui sapete, scrissi minutamente
l'evocazione che avevo pronunciato uscendo dal mio torpore, e la risposta dello
Sconosciuto, che ora leggerete.
Fatto ciò, esitai un attimo, poi aggiunsi a caratteri più
grandi: "Prometto l'obbedienza, la passività e… ?"
- Ci sono sempre tre elementi nelle sue frasi. Che devo
promettere ancora?
Una voce, diffondendosi in tutta la stanza risposte:
- Il coraggio.
Scrisse anche questa parola e, nel momento in cui tracciai
l'ultima lettera, la "o", un lampo bluastro attraversò la stanza da
ovest a est, con acuti zig-zag.
Seguì un odore di zolfo nella stessa direzione, come se
fosse stato un prolungamento del lampo.
E' fatta, mi dissi, adesso posso scendere.
Accesi la mia piccola candela apposita, avvolta, su un
piattino metallico, da una specie di griglia protettiva, e andai verso il
guardaroba, posto nello stesso corridoio, proprio di fronte alla mia camera.
In questo grande andito quadrato, aprii due ante di un
grosso armadio pieno di bei vestiti e scelsi, dopo attento esame, una veste in
seta bianca, decorata con fiori rosa e blu ricamati a mano.
Da una cassettiera in legno di rovere, poi, presi una
camicetta e una sottoveste in fine stoffa di Russia, arricchita da delicati
ricami, un piccolo busto di raso bianco e un paio di calze finissime.
Appoggiai tutto ordinatamente sul canapè che si trovava al
centro della stanza, e passai alla scelta delle scarpe.
Ve n'era un'intera fila al fondo dell'armadio: scarponcini,
scarpette di vernice, stivaletti, scarpe aperte.
Presi, come ben potete immaginare, scarpe da ballo, rosa e
con grandi fibbie dorate. Le posai sul tappeto davanti al canapè.
Servono anche dei fiori finti e dei gioielli, mi dissi,
perché voglio essere bella, la più bella di tutte.
C'era in una credenza a fianco dell'armadio, un bauletto
rivestito di fine pelle grigia. Le mie iniziali brillavano a lettere d'oro sul
coperchio. Lo aprii con una piccola chiave, che estrassi dalla sua custodia in
fondo alla credenza, e feci la mia scelta: due belle rose tea complete del loro
delicato fogliame di velluto, ed un sottile collier d'oro, cesellato alla
russa, con un gran medaglione intarsiato di perle e piccoli diamanti dalla luce
purissima. Al centro del medaglione era un gallo, fatto coi rubini di queste
montagne: il gallo rosso di Georgia.
Con questo ci sarà ben di che far girare la tesa a Mischa,
pensai con malizia. E' necessario che mi obbedisca senza discutere.
Andai avanti con la toilette. Per prima cosa mi tolsi alla
svelta tutto quello che indossavo e, completamente nuda, feci un fagotto di
quei tristi vestiti. Li cacciai senza scrupoli nelle profondità dell'armadio.
- E' finito – dissi ad alta voce. – La tristezza e la
penitenza sono passate. Adesso, mi sento leggera e vado al ballo per
festeggiare la mia gioia.
Tornai verso il canapè. Mi posi a fianco dei lussuosi abiti
che avevo li disposti e cominciai ad infilarmi le calze.
Era la prima volta nella mia vita che prendevo davvero gusto
alla minuziosa operazione che doveva rendermi bella.
Constatai con piacere l'eleganza curva dei polpacci e
l'eccezionale slancio delle caviglie dentro le bianche calze ben aderenti.
Mischa ne ha già preso visione, pensai sorridendone.
Non c'era più traccia di vergogna in me ed era come se non
avessi mai provato quel sentimento.
Ora, dopo l'esperienza di cui ho fatto tesoro, grazie al
mistero di liberazione, che voi lettori conoscerete quando avrete terminato di
leggere questo libro, posso affermare serenamente che solo a questo punto
cominciai a diventare pura, cioè esente da sovrastrutture mentali artificiali,
poiché solo a partire da questo momento il pudore, che è una menzogna in ogni
danna, aveva cessato di trattenermi con le sue catene.
Ciò, forse, vi scioccherà, ma bisogna che esprima qui la
verità seguente: la liberazione dalla menzogna del pudore, oltre al suo valore
occulto, possiede in più un'utilità pratica, perché pone la donna al riparo
dalla perversità maschile.
Infatti, la sincerità verso se stessa, in materia di sesso,
crea nella donna una spontanea disponibilità che respinge l'uomo degenerato,
quello che ha bisogno di mezzi sordidi e nascosti (proibiti) per potersi
soddisfare.
Alla donna semplice (pura, nel senso qui spiegato) non si
avvicina che l'uomo la cui forza sessuale è sana. Ciò che deriva da un'unione
di tal genere è sempre sacro: nell'ordine delle cose terrestri, cioè periture,
per gli inferiori; e nell'ordine delle cose divine, cioè immorali, per i
superiori.
E’ una verità antica, la più antica di tutte. Ma l’antichità
l’ha totalmente dimenticata, dal momento che ha trascurato – ahimè, da
moltissimo tempo! – lo studio del divino, per occuparsi solo di questioni e
convenienze borghesi le quali, per loro natura, sono eternamente in conflitto
con esso.
La società ha statuito delle leggi e delle costumanze che
impediscono alla Vita di svolgersi armonicamente, ecco perché cose del tutto
naturali si sono trasformate per l'uomo contemporaneo in misteri
imperscrutabili.
Tutta la verità viene ora alla luce, che la sua ora è
suonata.
La sala da ballo – in cui entrai splendente di gioia, col
mio vestito chiaro sfumato di primavera, con le rose tea appuntante sulla nuca
alla radice delle pesanti trecce che cadevano, come due grossi serpenti boa,
fino all'altezza delle ginocchia, sfiorandomi il collo in dolce carezza – la
sala da ballo, dicevo, era piena di gente.
Stavo ascoltando con evidente concentrazione un brano di
musica classica, suonato al piano da una signorina davvero graziosa e molto
distinta.
I convitati erano tutti seduti lungo le pareti, su quelle
sedie bianche e dorate che formavano, come vi dissi, l'unico mobilio del
locale.
C'erano tutti i membri della mia famiglia, gli ospiti fissi
e i visitatori giunti appositamente per la festa: i Wassilkowsky e altri
vicini.
Tutti si sorprese nel vedermi entrare così all'improvviso e
levarono su di me degli guardi pieni di ammirazione.
Una delle mie zie, tuttavia, mi fece segno di non turbare la
riunione ed io, obbedendo, mi sedetti sulla prima seggiola libera, che trovai
vicino all porta da cui ero entrata.
Fu allora che intravidi Mischa. Stava in piedi davanti ad
una delle finestre di nord-est e sembrava l'unico a non interessarsi della
musica. Mi fissò come uno che esce da una terribile ansia ed i suoi occhi mi
dissero: "Finalmente!"
Sostenni lo sguardo con un'aria divertita, cosa che lo
indispettì visibilmente. La determinazione che aveva in quel momento ne fu
certamente rafforzata.
La signorina graziosa ed elegante interruppe improvvisamente
il suo Allegro su un accordo clamorosamente sbagliato. Si alzò e disse:
- Ho scordato il seguito, è da tempo che non faccio più
pratica.
Tutti accorsero verso di lei e ci fu un chiacchiericcio
generale di complimenti e felicitazioni.
Mischa mi si avvicinò.
- Cosa avete fatto durante tutto questo tempo? – domandò col
tono imperioso di un comandante.
- Sono stata in camera – risposi.
- So bene che non ne siete uscita – disse lui, - ma che
facevate?
Non seppi rispondergli perché, inoltre, che cosa avevo
fatto?
- Non volete rispondermi? – sibilò Mischa tra i denti.
- Sì e no – dissi ridendo.
- Cosa significa: sì e no? Volete o non volete rispondermi,
insomma?
- Lo vorrei davvero – dissi, - statene certo, lo vorrei
proprio, ma non so come dirvelo.
- E' davvero un'impresa molto difficile – disse Mischa, con
una smorfia d'amarezza sulle labbra. – E' strano come le donne abbiano sempre
bisogno di afre le misteriose. Con me dovrete perdere quest'abitudine.
- Vedo, Mischa, che il vostro nervosismo è del tutto
spropositato.
- Ah, dite davvero! – esclamò.
Mi guardò di traverso.
Il discorso restò in sospeso, poiché un brillante ufficiale
si avvicinò e domandò a Mischa:
- Avete impegnata la vostra dama per la controdanza?
Senza esitare, Mischa afferrò il mio braccio, lo passò sotto
il proprio e disse:
- Certamente.
- Ah! Chiedo scusa – fece l'ufficiale, - avevo proprio
l'intenzione di invitare la signorina, ma poiché mi avete preceduto….
Si inchinò elegantemente e si fece da parte.
Restai attaccata al braccio di Mischa. Intanto mia madre,
fendendo la calca, mi si avvicinò con la voglia di dirmi qualcosa; ma, dopo un
attimo di riflessione ed un amabile sorriso all'indirizzo di Mischa, se ne
ritornò indietro.
- Cosa penserà mia madre adesso? – dissi a Mischa. – cosa ne
pensate voi?
- Mi è del tutto indifferente – rispose il giovanotto.
Ora aveva sul viso l'espressione del vincitore, e non vi
nascondo che la cosa mi facesse piacere.
- Balliamo! – mi disse. – Li sopravanzeremo tutti! Sapete
ballare il galoppo cosacco?
- Sì – fu la mia risposta.
- Ebbene! A noi due, adesso!
Mi condusse, sempre dandomi il braccio, nell'angolo tra le
due file di finestre. Non scordate che si trattava del lato nord del castello.
Prese due sedie, che accostò, e mi disse di sedermi.
Quando fummo entrambi seduti, e mentre la confusione
continuava attorno a noi, poiché i cavalieri invitavano le dame e le persone
anziane si raggruppavano agli angoli della sala in modo da lasciare più spazio
possibile ai ballerini, Mischa mi fece questo discorso:
- Ascolta, Xènia, bisogna che tu la smetta di fare la finta
tonta. Hai capito senz'altro che ti ho scelto al ballo per proteggerti. Ti
contenderò con ogni mezzo a qualsiasi pretendente. Se dunque non vuoi che ci
sia, qui stasera, una tragedia, dimmi subito di chi sei innamorata, cosicché io
mi possa liberare al più presto di quest'uomo.
Ah! La malizia delle donne è piena di risorse!
- Mischa – risposi, - se vuoi sapere ogni cosa, ti invito a
seguirmi stanotte, subito dopo mezzanotte, nella foresta. Conosci, vero, la
vecchia quercia gigante?
- Sì – disse Mischa, divenuto bianco come un lenzuolo. – In
quel luogo?
- In quel luogo, saprai ogni cosa.
- Ti aspetta laggiù?
- Si, questa notte, alla una.
Mischa restò in silenzio. Corrugò la fronte in atteggiamento
feroce e serrò i pugni.
- Sta bene – disse, - porterò con me la mia grande sciabola
cosacca. L'ho affilata proprio questa mattina.
Rimanemmo ancora un po' nell'angolo nord della sala, ma non
ci dicemmo altro.
Mischa aveva l'aria di studiare un piano, e non era certo
mia intenzione distoglierlo dal pensiero del prato, attorno alla quercia
gigante, dove si immaginava di incontrare un rivale in carne ed ossa, a lui
simile.
Rinunciammo entrambi a ballare, e ai cavalieri che mi
invitavano rispondevo invariabilmente:
- Sono indisposta, oggi. Sarà per un'altra volta.
I membri della mia famiglia, naturalmente, avevano arguito
dal mio comportamento la cosa più scontata, e cioè, dal loro punto di vista,
anche la più conveniente: tra Mischa e me si stava decidendo un fidanzamento.
Improvvisamente Mischa trasalì.
- C'è una strana corrente d'aria – disse.
Si alzò e andò a chiudere le finestre più vicine, a destra e
a sinistra delle nostre sedie. Si rimise a sedere, ma si alzò ancora.
- Ciò che è curioso – disse, - è che il vento viene dal
basso e non siamo in inverno. Ho i piedi gelati. Vieni sul balcone, camminare
ci farà bene.
- Bisognerà passare davanti a tutte le dame anziane –
osservai – e disturbare i ballerini.
- Non siamo a Parigi né a San Pietroburgo – rispose Mischa,
- facciamo buon viso a cattivo gioco.
Aprì la finestra che aveva appena chiuso, accostò una delle
sedie, a guisa di scalino, al bordo della finestra, e mi domandò in tono
burbero:
- Avete paura di scandalizzare qualcuno servendovi di questa
scala improvvisata? Suvvia, Xènia, non esitate e fregatevene della gente.
- Non mi occorre certo un grande sforzo per un gesto così
semplice – dissi ridendo e, senza appoggiarmi alla mano che mi tendeva, salii
sulla sedia, da qui sul davanzale della finestra e poi sul pavimento del
balcone. Tutto in meno tempo che a descriverlo.
Mischa mi tenne dietro con una sola sgambata.
La notte era molto scura. Niente luna mentre miriadi di
stelle, grandi e scintillanti, sembravano gettare sulla terra un'infinità di
sguardi angosciati.
L'aria era fredda e pungente.
- Ah, meglio così! – disse Mischa respirando a pieni polmoni
la brezza della notte. – Che ora è? – Estrasse il suo orologio dal panciotto. –
Le undici. – Ebbe un fremito nervoso. – E' ormai ora di prepararsi – disse.
Fece qualche passo a ridosso del muro, mentre io
contemplavo, immobile, la splendente profondità del cielo. Mi tornavano in
mente i versi magnifici del nostra grande poeta Apouchtine:
Le cime eccelse
Dormono nella notte.
Le valli si lasciano andare
Senza alcun rumore
(…)
Tacciono le foreste,
Silenti gli stagni.
L'aspro dolore
Va cessando … fidati!
Sì, è vero, pensai, tutto finisce e tutto ricomincia al
tempo giusto, nel momento esattamente prestabilito. L'importante, per non
contrariare la volontà sconosciuta, è restare calma e passiva in ogni
circostanza. Nessun desiderio personale, soprattutto.
Mischa tornò verso di me.
- A che stai pensando? – domandò, prendendomi per le braccia
con le sue fori mani. – Xènia, voglio che tu mi ami. Me. Non l'altro.
Strinsi le labbra. Non mi veniva in mente nessuna risposta.
Senza dubbio Mischa interpretò in suo favore questo silenzio, che aveva
peraltro ben altra causa; e, stringendomi appassionatamente al suo ampio petto,
stampò sul mio occhio destro un bacio infuocato.
- Amo i tuoi occhi – disse; e, dopo un secondo: - L'altro
non ti ama, ne sono sicuro, te lo proverò.
- Lo saprai fra poco – dissi, ma la voce mi restò in gola.
Mi guardò ancora, e di nuovo un'altra volta, poi, con gran
sforzo si staccò da me, tremando da capo a piedi.
- Vuoi un mantello? – mi chiese subito. – Ci vorranno anche
delle scarpe più solide.
- Hai ragione – dissi. – Fra poco andrò a prendere quello
che occorre. L'erba è umida, di notte.
- No, vacci subito. Sarò qui ad aspettarti.
Volse attorno a sé uno sguardo inquieto.
- E' da quella scala che dovremo scendere, vero? – chiese
indicando la scala di ferro che, dal balcone, portava nel cortile dei pavoni e
delle oche.
- Sì.
- Allora vai! Ci ritroveremo in cortile, ai piedi della
scala. Qui non sarebbe prudente. Io pure ho qualcosa da prendere prima di
incamminarmi.
I suoi occhi brillavano di una luce cattiva.
Povero Mischa! Lui pensava, senza dubbio, alla sua sciabola.
Quando ritornai – circa mezz'ora più tardi, perché dovetti
fare tutto il giro della casa dal salone di sud-est all'ingresso, allo scalone
interno e infine al corridoio in fondo al quale si trovava la mia camera –
Mischa stava a qualche passo dalla scala di ferro, al riparo della luce delle
finestre della sala da ballo.
Il silenzio era totale, poiché i ballerini e tutti gli
invitati, insieme ai miei famigliari, si erano trasferiti nella sala da pranzo,
dove una grande zuppiera russa richiamava tutta la loro attenzione.
Sotto il lucore enigmatico delle stelle, vivace in queste
contrade meridionali dove il cielo pare più basso e corposo, il fine profilo
dei monti innevati si stagliava assieme a creste più vaghe e sembrava invitare
lo spirito ad un viaggio misterioso in profondità sconosciute.
Le macchie più scure delle valli, con le loro dense foreste,
avevano un aspetto sinistro, e la paura nervosa che esse ispiravano costituiva
un forte stimolo per un attimo coraggioso.
Una fredda brezza si diffondeva nell'aria. Intuii che
conteneva in sé un pensiero ed una volontà che ben presto mi si sarebbero
rivelati.
Scesi lentamente, calcando con prudenza ogni passo con le
piccole scarpe di vernice, sugli stretti gradini di ferro. Guardai Mischa
impegnato, frammezzo all'oscurità, in un esercizio davvero stravagante:
stringeva nella mano destra la sua grande sciabola cosacca, tracciando
nell'aria, con l'arma che mandava a tratti deboli bagliori, degli ampi cerchi
che tagliava in seguito dall'alto in basso e da sinistra a destra, proprio
davanti a sé. A terra, un metro o due distante, stava una lanterna che
diffondeva attraverso i suoi vetri un bagliore rosso.
Ristetti sull'ultimo gradino della scala, per vedere
cos'altro ancora avrebbe fatto Mischa.
I miei occhi, abituatisi nel frattempo all'oscurità, mi
permettevano di distinguere i tratti del viso del giovane: aveva l'aria
ispirata e dalle sue labbra socchiuse uscivano suoni inintelligibili: ho! hé!
ho! hé! ha! e altre sillabe ancora, che non riuscii a distinguere.
Con gesto istintivo, coprii i miei abiti bianchi tirando i
lembi dell'ampia mantella nera che mi ero messa sulle spalle per proteggermi
dal rigore della notte. Per nulla al mondo, in quel momento, avrei voluto
attirare l'attenzione di Mischa, per non disturbarlo in quella sua strana
attività, poiché mi era chiaro che stava già subendo l'influsso – oh, con mi
grandissima soddisfazione! – della volontà del mio Maestro misterioso. Mi
occorrono una donna e un uomo, aveva detto.
Mischa fece un passo avanti, portandosi così un poco alla
luce.
Vidi allora che indossava al completo l'equipaggiamento
cosacco: il lungo caffettano orlato di astrakan grigio, l'alto berretto fatto
con la stessa pelliccia, e i vari pugnali infilati nel cinturone di cuoio. Gli
alti stivali gli salivano fin sopra i ginocchi. Era impressionante e non potei
fare a meno di provare per lui una viva ammirazione.
- Quarantuno – disse con voce atona. – Quarantuno è il
numero del viaggio, seguito dall'undici fino al sei. E' il numero della prima
consacrazione, dopo la discesa fino al centro dell'uovo.
Si fermò un secondo, inalò il respiro, e continuò come
una lezione appresa d'intuito che si rimastica ancora per non scordarla:
- Quarantuno, è il numero della soglia varcata. E'
l'addizione: undici più due, più dieci, più quattro, più otto, più sei. Su
questa soglia si muore o si riprende il cammino in salita … Ora, si tratta di
conseguire, risalendo, sette più cinque, più nove, più tre, più undici, più uno
… cioè trentasei in tutto … trentasei più quarantuno fa sessantasette…. ecco
perché il numero 77 è quello della liberazione… E' la seconda consacrazione,
quella del Maestro nel maschio. E' anche il secondo cinque. Il cinque … la
stella dell'Altra Sponda….
Mischa fece ancora tre passi avanti, con l'andatura
irrigidita di un sonnambulo, e pronunciò con voce terribilmente forte, mettendo
la sciabola in guardia:
- Ti prometto e ti invito a risalire attraverso di me dal
Sei all'Uno, ossia dall'Undici al Settantasette ….[5]
Cari lettori, vi ho ormai abituati alle stravaganze di
questo racconto. Posso dunque dirvi tranquillamente e senza inutili scuse, che
nel momento in cui Mischa pronunciò la parola "settantasette", una
fiamma blu cadde sulla punta della sua sciabola e lì svanì, come una serpente
nel terreno.
Molto vicino a me, una voce soffocata mormorò:
- Ponigli tre domande e non scordare quello che ti dirà. Fai
presto, perché hai poco tempo a tua disposizione.
Stavo cercando la domanda da fargli, quando all'improvviso,
e senza il mio controllo, dissi:
- Perché bisogna combattere il Nove?
- Questa è la prima – alitò la brezza che ritornava in quel
momento.
Mischa, sempre come un automa, rispose:
- Il Nove è il simbolo del Sei rovesciato. E' la menzogna
che parla il linguaggio della verità. E' la mia croce, perpetuata per il
trionfo dell'Ingiusto.
- Ponigli la seconda domanda – disse la stessa voce
soffocata.
Questa volta ebbi la netta impressione che venisse da nord.
Senza riflettere, gli domandai:
- Chi è l'Ingiusto?
Mischa si girò lentamente verso di me, volgendo così il viso
a sud, e disse:
- L'Ingiusto è colui che perpetua nell'umanità la vergogna
per la vita. L'Ingiusto è colui che sostituisce l'acqua viva del Mare con la
menzogna del simulacro[6].
L'ingiusto è colui che ama la Mia croce, perché essa Mi impedisce di compiere
il Mio ciclo.
- Poni la terza domanda e affrettati, che è tardi – mormorò
ancora la voce soffocata, questa volta ben distintamente da nord.
Dissi allora:
- Come sconfiggere la Tua croce, il Tuo nove, la Tua
prigione?
Dissi "prigione", ma ciò mi sbalordì enormemente,
e prestai tuta la mia attenzione per capire bene la risposta a quest'ultima
domanda, che avevo posto mio malgrado, ma la sua gravità mi apparve subito.
Mischa rispose:
- Non si può vincere la Croce, il Nove, la Prigione, che
compiendo la Mia opera, il Mio ciclo, la Mia libertà. Chi mi accetterà e
libererà sarà potente e sapiente, poiché io sarò in lui e lui sarà Me.
Un violento tremito nervoso si impadronì allora di Mischa.
Egli abbassò la sciabola e vi si appoggiò, vacillante.
Sentii il permesso di aiutarlo. Saltai a terra e gli corsi
incontro. Non sapendo come impedirgli di cadere – perché, evidentemente, il suo
peso era davvero troppo per le mie forze – lo spinsi verso il muro, dal quale
ci separavano pochi passi. Egli indietreggiò subito e, arrivato a ridosso del
muro, vi si appoggiò con evidente sollievo.
La sciabola strideva contro le pietre del muro.
- Mischa – dissi, - non temere, adesso stai bene.
Aspirò profondamente l'aria fredda della notte, ebbe un
ultimo sussulto e mi guardò.
- Eccoti, Xènia – disse. – Ho appena avuto una straordinaria
visione. Dammi la tua mano, amica mia, che ora comincio a capire molte cose.
LA TRAVERSATA
Ci incamminammo mano nella mano.
Mischa aveva detto: - Vieni, Xènia, che è giunto il momento.
Io lo seguii senza dire una parola. Conoscevamo bene il
percorso, lui ed io.
Mischa reggeva con la mano destra la lanterna, la cui debole
luce rossa si diffondeva per breve tratto attorno a noi; nella fitta oscurità
era come se noi stessimo percorrendo una galleria. Tuttavia, mano a mano che si
avanzava, lo spazio percorso si richiudeva alle nostre spalle simile a un muro
nero.
Quando giungemmo al termine del grande viale del parco che
cingeva il castello dei miei avi, e che si trattava, ormai, di avviarsi per
sentieri incolti, Mischa si fermò e mi disse: - Riposati un attimo, amica mia.
Ne approfitterò per dirti certe cose.
L'evidente mutamento in tutto il comportamento di Mischa non
mi aveva sorpreso, visto che ne conoscevo la causa, ma ciò che mi pareva
sbalorditivo, era l'attitudine del tutto nuova che io manifestavo verso il mio
compagno.
Questo sentimento era tutt'altra cosa dell'amore mistico che
avevo provato per lo Sconosciuto; esso mi cancellava di molto ai miei stessi
occhi e si diffondeva dentro di me, come un'influenza che mi annientava.
Quando mi fui seduta sul tronco di un pino caduto, ben
riparata dalla mantella nera, i gomiti sulle ginocchia ed il mento poggiato nei
palmi delle mani, Mischa, che era restato in piedi, mi disse: - Xènia, ora so
che colui che ci aspetta nella foresta non è né un rivale né un avversario. E'
un amico e l'insegnamento che ci darà concerne un mistero sacro. Ci conviene
pertanto prepararci degnamente al solenne incontro.
Tacque e si raccolse in profonda meditazione.
Era davvero splendido, illuminato di rosso sullo sfondo nero
della notte. Gli occhi apparivano grandi e magnetici e la sua alta statura di
vigoroso cosacco rifletteva una volontà indomabile.
Lo guardai senza pensare a niente. Aspettavo che fosse lui a
parlare,
- Xènia – disse infine, - hai qualcosa da rimproverarmi?
Se la terra si fosse aperta e m'avesse inghiottito, se
il Kasbek fosse sprofondato in mare, sarei rimasta meno sconvolta nel mio
intimo: io, rimproverare qualcosa a quest'uomo!
Mi alzai di scatto gettandomi al collo di Mischa come una
sgualdrina. Mi strinsi contro il suo petto, solido come granito, allacciai le
gambe attorno alle sue, mi strappai i vestiti strusciandomi contro i suoi
pugnali.
Ogni tanto gettavo la testa indietro per vedere se
sorrideva.
Mischa mi lasciò fare per un po'. Dopo mi prese tra le sue
braccia e mi strinse teneramente.
Non riuscirei a raccontare la felicità che provai nel
sentire la sua forza e la sua fermezza intenerirsi per me.
Gli ero riconoscente e avvertivo il bisogno di sacrificarmi
per lui. Oh, la voluttà del sacrificio!
Hai ragione – sussurrò Mischa carezzandomi l'orecchio con le
labbra, - hai ragione: tu non puoi rimproverarmelo … Xènia è mia, perché l'ho
conquistata. Xènia non è di nessun altro… L'Altro non è un nemico …. noi
lo vedremo presto … insieme. Abbracciami ancora, mio piccolo uccello blu …
dammi il bacio[7]
di cui ora ho bisogno … non sono più la stessa persona di stamattina … Noi Lo
vedremo presto insieme.
- Dicendo ciò, mi sollevò come una bambina, senza sforzo,
quasi che non avessi avuto peso e, quando la mia testa fu all'altezza della sua,
le nostre labbra si unirono in un bacio meraviglioso, che pareva unire il cielo
e la terra.
Non c'era inferno in questo bacio, perché l'inferno era già
stato attraversato.
Il bacio dell'inferno è umido, poiché è il principio del
grande attraversamento del Mare. Il bacio del cielo è aereo e radioso, poiché è
il primo passo fatto sulla nuova sponda.
Non si può tuttavia attraversare il mare se non si arriva
prima fino al limitare della prima terra … e l'uomo non arriverà alla zona
delle onde se queste non gli si dipartono d'innanzi. La donna è l'onda e l'uomo
è la terra.
- Sì, sono tua, Mischa, solo tua…
Era stordita e senza forze.
Mischa mi rivolse uno sguardo pieno di affetto e mi disse: -
E' vero.
Posò ancora sulla mia fronte, tra le sopracciglia, un bacio
pieno di sentimento e, lentamente, come se fossi stata un oggetto fragile e
prezioso, mi ripose sul tronco del pino.
- Ora, stai tranquilla e non ti muovere, qualunque cosa
accada. Ciò che devo fare adesso è per me in funzione di me stesso. Non ti
impressionare, stai assolutamente calma.
Senza affanno, obbedii. Mi era piacevole l'obbedirgli.
Incrociai le mani sulle ginocchia e attesi.
Mischa indietreggiò di qualche passo. Tese le braccia in
avanti, mostrando i palmi in cielo, come fa il prete sull'altare, quando
impetra l'onnipotenza divina, affinché il Cristo discenda nel pane e nel vino
del Mistero eucaristico.
Poi, effettuò una formidabile concentrazione di forza e di
spirito.
Assomigliava a una statua di pietra rossa trasparente. La
luce si perdeva nell'ombra immensa che che lo circondava, ma la forza che era
in lui sembrava più immensa ancora. Era il centro che dominava la notte.
Lentamente, Mischa ritrasse i palmi. Alzò le braccia al
cielo e iniziò a piegare le ginocchia, seguendo un ritmo lentissimo. La schiena
gli si curvò appena i ginocchi toccarono terra e quindi egli eseguì davanti a
me il saluto solenne dei nostri antenati, con la fronte contro la polvere del
suolo.
Tutto il mio essere si rivoltava a vederlo così prosternato
al mio cospetto, ma egli mi aveva ordinato di rimanere immobile, ed io così
feci.
Poi Mischa raddrizzò la schiena e ripeté una seconda volta
lo stesso saluto.
Infine si alzò, riassunse il suo abituale portamento fiero,
estrasse la sciabola dal fodero, fece ruotare il brando nell'aria libera della
notte, come se avesse voluto segnalare a dei testimoni invisibili che la sua
prova era terminata e che un pegno di libertà aveva coronato la sua vittoria e,
rivolgendosi a me, mi disse con vece limpida e felice:
- Xènia, donna, amica, amante mia! Come sai, appartengo alla
fiera razza dei Cosacchi del Don. Nessuno tra noi, ha mai piegato la schiena di
fronte ad alcuna potenza di questa terra. Lo stesso Zar si rivolge a noi con
rispetto e quando andiamo in guerra è soltanto perché lo vogliamo. Nessuno ci
obbligherà mai a prendere le parti di una causa che non ci piace. Eppure, oggi
ho chinato la testa nella polvere, di fronte a te: una donna. Ti spiego subito
perché l'ho fatto. Tieni a mente queste mie parole, perché non capirai subito
tutto il significato …. Succederà qualcosa alla una e solo allora ti sarà data
la chiave del mistero … ma io non sarò più accanto a te, allora, per ricordarti
questa cosa. Ascolta, dunque, e che tu sia il testimone notturno del mio
giuramento: qui, nella foresta, ho detto addio a tutte le tue simili, a tutte
le donne, su te … io giuro sulla tua testa che nessuna donna mi conoscerà[8]
più.
Fu straordinario: straziante e tragico.
Sembrava che, nell'ombra, le foglie stessero tremando come
tremavo io, e che gli alberi posassero su di me i loro grandi rami, per
proteggermi o anche per consolarmi.
Ma non ci fu nessun rumore nella foresta; e le stelle, nel
cielo nero, erano calme.
La Natura accettò il giuramento solenne di Mischa.
Egli riprese il suo discorso.
- Ho ripetuto il mio saluto due volte – disse, - perché ho
appreso, compreso e deciso due cose: bisogna farla finita con la donna e
ringraziarla. Il mio primo saluto è stato il saluto doloroso della separazione,
mentre il secondo l'espressione della mia riconoscenza. Xenophonta, tu sei la
carne attraverso cui sono stato santificato. Prima di conoscerti non ero che un
animale selvatico. Attraverso di te, sono stato dotato di Intelligenza. Attraverso
di te, perché tu ne eri già insignita prima di me. Fra poco io saprò perché ciò
è avvenuto. Lui, tu, io? Il nero, il bianco, il rosso? Ho voglia di saperlo, ma
già lo presentisco come una specie di immensa gioia … ed io ti rendo merito, o
Xenophonta. O carne benedetta del Suo desiderio! chè senza di te io non avrei
mai saputo come si compie la Traversata … Xènia, amica mia, ricevi il segno
della mia riconoscenza.
Colse da una frasca un rametto fiorito e me l'infilò nel
corpetto, tra i seni.
- Riprendiamo il cammino – disse in fretta.
Il percorso fu ancora lungo.
Seguimmo da principio un sentiero lungo la china boscosa
della montagna, dove c'erano molti ruscelli.
Mano nella mano, risalimmo queste umide vene della terra, e
Mischa mi disse:
- Coraggio, mia piccola Xènia, la ricompensa ti attende.
La luce rossa proiettata dalla lanterna ci seguiva come un
fuoco fatuo protettore: essa terrorizzava gli animali affamati che erravano per
le radure in cerca di preda.
I rami scricchiolavano nell'oscurità ed io, mio malgrado,
tremavo di paura.
Allora, la mano di Mischa stringeva con maggior forza le mie
dita, cosa che mi riconfortava.
Tuttavia non ardivo parlare, perché rispettavo profondamente
il mondo nel quale il suo spirito era penetrato.
Mi inventai dell'altro per costringerlo ad occuparsi più
spesso di me: anche senza avere paura e quando tutto era tranquillo, trasalivo
apposta, affinché mi stringesse la mano.
Se ne accorse, senza dubbio, perché mi disse subito: _
Xènia, al posto di crescere, tu diminuisci … ma è giusto … dev'essere così.
Quando arriveremo alla quercia gigante, nel posto dove ci aspetta, io non avrò
più, accanto a me, che un piccola bambina, senza intelligenza…. E quando tu non
sarai più nulla, ti prenderò nelle mie braccia. Allora, tu sari una cosa che lo
Spirito non teme più.
Diceva tutto ciò con voce velata, come se parlasse a se
stesso.
Non tentai di investigare il senso di quelle parole, e mi
accontentai di assorbirne il sapore, come quando si beve un liquore che
ritempra interiormente.
Il mio intelletto si era realmente assopito.
Uscimmo dal bosco penetrando per una stretta gola, dove un
torrente vorticoso spingeva le proprie acque rossastre verso l'impetuoso Terek.
In lontananza, il frastuono assordante dell'acqua ci
avvertiva del pericolo.
Ci avvicinammo a piccoli passi e Mischa si sporse sull'acqua
per cercare un passaggio praticabile.
In questo posto scoperto, la notte era meno scura poiché al
chiarore delle stelle si aggiungeva il riflesso scintillante dei ghiacciai e
delle nevi delle cime circostanti. Intravidi una bestia vischiosa e strisciante
che mostrava la testa dall'acqua, vicino al piede destro di Mischa.
- Attento! – gridai. – Quella bestia ti farà del male.
- Davvero lo credi? – disse Mischa. – Il tuo coraggio va scomparendo,
dunque! – ed aggiunse: - ma anche questo è giusto, perché la carne è pavida.
Estrasse la sciabola e ne mostrò la punta alla bestia. Delle
scintille sprizzarono dall'arma e l'animale scappò sibilando.
Mischa rifletté un istante.
- Prendi la lanterna – mi disse. – Io tento di costruire un
passaggio, non possiamo fare altrimenti.
Radunò alcune grosse pietre e le gettò, una dopo l'altra,
nel torrente.
Si formò, infatti, una specie di daga grossolana, contro sui
si frangeva la corrente con spruzzi furiosi.
Mischa si assicurò con la punta della sciabola della
solidità del suo lavoro, e mi disse: - Vuoi passare per prima? Il passaggio è
stretto, non c'è spazio per due persone assieme.
Rimasi interdetta.
Sentivo che questa domanda era una prova. Volevo rispondere
secondo le sue aspettative, ma non riuscivo a capire quali fossero.
Mischa ripeté la domanda:
- Passerai per prima?
Esitai ancora.
- Ah! Anche la volontà è scomparsa! – gridò, folle di gioia.
– Più nulla, più nulla, né intelligenza, né volontà. E' così che dovevi
diventare.
Mi prese tra le braccia e attraversò di corsa il passaggio
di pietre.
Ebbi la presenza di spirito di trattenere la lanterna, che
mi stava cadendo.
SULL'ALTRA SPONDA
Sull'altra sponda, Mischa non mi rimise a terra.
Mi accomodò sul braccio sinistro e mi disse:
- Passa il tuo braccio destro attorno al mio collo, e
distaccati dalla tua coscienza.
La carne è pura quando la mente tace. Non ascoltare i rumori
della notte e non sentire il soffio della brezza. Sii sorda a ciò che ti accade
intorno, perché ora tutte le tue prove sono terminate. Quello che ancora ti
bisbigliano le stelle non ti riguarda. Sii felice, il tuo Maestro te lo
permette.
Appoggiai la testa sullo spesso berretto di pelliccia di
Mischa, e chiusi gli occhi.
La salita fu impegnativa, su per il pendio scosceso. Di
tanto in tanto, Mischa si fermava per saggiare il terreno con la punta della
sciabola.
I sassi allora rotolavano lungo il suolo roccioso e l'eco
rimandava a lungo il rumore della loro caduta nella valle.
Mischa affrontava il pendio col passo determinato dell'eroe.
Attorno al suo collo, il mio braccio era nudo. La mia pelle
si riscaldava voluttuosamente al suo calore ed una dolce sensazione di
benessere si diffondeva in me.
Ben presto, non avvertii null'altro che questo.
… Avevo dormito oppure la mia mente mi aveva lasciato?
Sentivo dei vaghi suoni che non identificavo, sentivo il
passaggio di un qualcosa che non riuscivo a definire… vicino o lontano da me
non avrei saputo dirlo.
Un torpore tutto speciale m'invase togliendomi ogni
desiderio di capire cosa succedeva intorno. Non mi domandavo neanche dove mi
trovavo; nessuna curiosità mi spingeva a conoscere il luogo ove ero giunta …
Improvvisamente, avvertii un curioso senso di peso sulle
ginocchia.
Qualcuno mi stava toccando? Dove …?
Il torpore mi riprese, facendomi scordare le ginocchia.
Poco più tardi, aprii gli occhi, perché una luce gialla mi
sollecitava la rètina. Vidi dei bagliori verdi, rossi, blu, bordati d'oro.
Stelle si formavano rapidamente e sparivano con altrettanta
velocità in cerchi fuggevoli ….
- Ma che c'è sui miei occhi? Cos'è che tiene chiuse le mie
ciglia?
Cercai di aprire le palpebre, ma esse non obbedivano alla
mia volontà.
- C'è qualcosa di strano sui miei occhi, qualcosa aderisce
alle ciglia e mi obbliga a tener chiuse le palpebre … E le mie ginocchia,
perché sono così pesanti?
Qualcuno le teneva ferme con le proprie mani. Chi, dunque?
Ah! E' senz'altro quest'oggetto strano, posato sui miei occhi, che mi impedisce
di capire … Si vuole … Ma chi lo vuole? … che le mie ginocchia siano pesanti,
che mi facciano male. Si vuole impedirmi di stendere le gambe con comodità. E
queste stelle… Queste stelle, cosa vengono a fare nei miei occhi? Delle stelle
… dei triangoli … dei cerchi … delle scintille: rosse, verdi, oro…
- E' loro che domina, ora – sentenziò una voce accanto a me.
Bisogna ascoltare, mi dissi. Ma perché trattiene le mie
ginocchia? Ciò mi impedisce di ascoltare.
- Spargete profumi e cantate motivi allegri – ordinò la
stessa voce. – L'opera è compiuta e ora domina l'oro.
Canteranno, pensai. Bisogna assolutamente che ascolti.
Infatti, un coro di molte voci intonò un canto sconosciuto.
Questo canto diffonde una aroma, pensai, un profumo d'ombra
e violetta… Oh, quant'è bello!
Il coro s'era avvicinato, senza dubbio, perché distinguevo
le seguenti parole:
"Rallegrati, o eroe immortale! L'ora della tua
incoronazione è suonata!
- Mischa! – dissi.
Non sapevo se l'avevo detto ad alta voce.
Il canto riprese.
"Rallegrati, Michael, il vincitore del fuoco e delle
acque, tu hai conquistato lo scettro della terra. La Natura si è piegata al tuo
cospetto e tu, simile a un dio impassibile, hai varcato la Soglia.
" I tuoi occhi hanno visto e le tue orecchie hanno
inteso, ma la carne è rimasta arida. Nessuno dei tuoi muscoli ha tremato e tu
ristai indenne al centro delle onde… Perché la forza è grande, o
immortale!"
- Oh, lasciate le mie ginocchia, vi prego!
Questa volta, udii la mia voce.
Fui liberata immediatamente e ne approfittai per stendere le
gambe con desiderio. Allora sentii molto freddo e me ne dolsi.
- Copritela – ordinò la voce che sembrava sovrastare tutte
le altre.
Non era la voce di Mischa; essa era più grave, più profonda.
C'era del movimento attorno a me.
Mani, piene di sollecitudine, si avvicinarono alla mia testa
e l'accomodarono in una posizione più confortevole.
Avvertii, in quell'istante soltanto, che il giaciglio sul
quale stavo distesa era molto duro.
Il coro riprese a cantare:
"Contemplate la carne offerta in olocausto. Ascoltate
la voce priva di ragionamento. Considerate l'offerta spontanea, o potenze del
cielo, degli astri e della terra, e riconoscente che quest'opera è bella!"
Altre voci, ugualmente in coro, risposero:
"Noi siamo venuti da lontano e da vicino. Dalle sette regioni
dell'aria, abbiamo assistito alla prova di quest'eroe e ne constatiamo la
vittoria."
La voce che dava gli ordini disse allora:
- Michael, prendi la spada, in premio di vittoria.
Ci furono dei lievi rumori intorno a me. Si andava avanti,
si tornava indietro, ma non sembrava che ci fosse qualcuno che camminasse:
all'improvviso non si udirono più rumori.
- Lui ha impugnato la spada – dissi all'improvviso. Sì, mi
si è chiesto questo, pensai subito, si è voluto sapere se io ne fossi a
conoscenza, senza vedere.
Aggiunsi, ad alta voce:
- Sì, Michael, Mischa, ha preso nella sua mano destra la
spada che gli è stata offerta.
Non sapevo in che modo era giunta a comprendere ciò.
- Rispondetele – ordinò la voce.
Il primo coro intonò allora una dolcissima melodia. Le
parole erano ad un dipresso le seguenti:
"Che sia benedetta la donna, che si offre come una
stretta gola tra due pareti i roccia per permettere al Glorioso di sperimentare
in silenzio la forza effettiva della sua determinazione.
"O voi tutte, voi, anime vicine e lontane! Rendete
grazie a questa fanciulla: il velo, steso sui suoi occhi terrestri, non
le ha impedito di scorgere la Verità. Ma, sublime, essa ignora il proprio
merito.
"Perché questa è la saggezza del Grande Alchimista,
costruttore della Vita: Lui versa nella donna il veleno corrosivo, la cui
sottile virtù decompone i metalli volgari per non far emergere che l'oro
trasparente.
"Spesso il terreno è troppo umido, e allora
l'operazione non riesce. La Vita ne prova dolore e dappertutto si odono grida
di disperazione.
"Il Maestro, in questi casi, assurge a Maligno, e
l'umanità traduce il suo urlo disperato con grida e atti di collera. La Natura
si irrita e vomita delle acque limacciose, mentre tra gli uomini scoppiano le
guerre e le rivoluzioni. Quando il dolore giunge al culmine, la madre non
riconosce più il proprio figlio.
"Lodate tuttavia questa fanciulla, poiché, attraverso
di lei, l'Opera Magica si è potuta compiere interamente.
"Essa ha amato il Maestro ed il Maestro ha potuto
penetrare in lei per fecondarla e colmarla del dono dell'Intelligenza.
"O Michael! O guerriero dominatore delle acque, ramo
che si è separato dal tronco e fiorisce quando vuole, tu hai potuto prendere e
lasciare senza indebolirti, poiché hai capito che attraverso lei la tua anima
si univa a Lui.
"A Lui, il Maestro e Architetto, che edifica il mondo
secondo i dettami di una geometria sottile … Gloria e devozione!
"A Lui, Creatore e organizzatore dell'Amore, legge
suprema di dissoluzione … Omaggio e riconoscenza dai nostri cuori!
" A Michael e a Xenophonta, sua sposa … Gloria,
saggezza e virtù!"
Il secondo coro rispose:
"Sì, gloria a Michael! Gloria alla sua Sposa! Gloria
all'uomo e alla donna che si sono offerti alla realizzazione del ciclo
dell'amore magico, secondo la volontà del Maestro della Vita, il Sapiente
Alchimista, che si proietta dal nord al sud, ma che la reazione delle forze
contrarie ferma al centro, per crocifiggerlo dall'est all'ovest.
"Gloria al Maestro della Vita! Gloria al Crocefisso le
cui due mani, staccate dal legno della vergogna si congiungono qui in un gesto
di gioia.
"Salutiamo il Sacro Triangolo, formato in questo luogo,
sotto la vecchia quercia gigante che ne custodisce il segreto: salutiamo la Hè,
che è la chiamata all'Opera, la partenza del veleno, la volontà satanica
proiettata nella Vita; salutiamo nel punto inferiore dell'asso dinamico, la Hò
dolorosa, il nome della carne crocefissa: e salutiamo la Là della nuova
formazione, il punto che è sia fuga che ritorno; poiché, così com'è detto da
coloro che possiedono le chiavi della saggezza, un nome antico pronunciato da
una bocca nuova è un nome nuovo, una rinascita."
Il coro tacque, e la voce che dirigeva la cerimonia disse a
Mischa:
- Michael, pronuncia il tuo nuove nome, perché da questo
momento tu incarni la volontà liberata del Maestro.
Fu un momento solenne.
Un silenzio impressionante regnò nell'oscurità totale.
Poi, nello stesso istante in cui il velo cadeva di colpo dai
miei occhi, esponendoli ad una luce sfolgorante, Mischa pronunciò con voce
ferma queste tre sillabe: Hè-Hò-Là.
Vidi allora il mio eroe in piedi su un rialzo del terreno,
vicino alla vecchia quercia gigante che stendeva sulla sua testa regale i
pesanti rami fronzuti.
Il viso di Mischa emanava un tale chiarore che questo faceva
vibrare tutta la radura di un singolare scintillio, argentato, dorato e rosso,
alternativamente.
Era una luce come non ne ho più viste in vita mia.
Mischa reggeva nella mano destra una spada di fuoco e in
quella sinistra il globo d'oro che simboleggia la potenza imperiale.
I suoi vestiti da cosacco erano ricoperti da un lungo
mantello, che era difficile dire fosse fatto di cristallo o lino.
Attorno alla radura, una folla di esseri irraggianti, divisa
in due ali, a destra e a sinistra di Mischa, vibrava come un vapore magnetico.
Erano i due cori che avevano cantato le "glorie" e
gli "insegnamenti" della Saggezza … i profumi e le musiche!
Il mio giaciglio, composto da alcuni pietroni e rami
staccati da poco, si trovava al centro della radura. Esso era posto in maniera
da situare la mia testa al nord e piedi al sud. Non avevo vestiti sotto la
mantella nera, postami addosso come coperta.
Cercai con gli occhi il Maestro della cerimonia, quello che
comandava gli altri, ma non lo vidi.
- Dov'è il Maestro' – dissi.
Ci fu, nell'assemblea vaporosa, come un sussulto di gioia, e
i cori si rimisero a cantare insieme un qualcosa del tutto incomprensibile per
me.
Mischa sembrava non preoccuparsi di me, ma devo anche dire
che i suoi occhi, che non erano altro che luce e fuoco, avevano uno sguardo che
i mortali non conoscono.
Mi vedeva, forse, ma in maniera diversa.
Più tardi, quando tutto fu finito, poiché l'alba spuntava
sulla folta foresta e scacciava la verità della notte, Mischa, ritornato
cosacco, mi aiutò a rivestirmi.
Mi portò delle fragole e acqua fresca, attinta alla vicina
sorgente.
Era felice e tranquillo.
- Che cosa farai ora? – gli dissi dopo che ci fummo seduti,
l'uno a fianco dell'altra, sull'erba umida della radura, come se fossimo stai
due operai che avevano terminato il proprio lavoro.
Non rispose subito; non avevamo fretta.
- Cosa farò? – disse infine. – Ti istruirò, Xènia. Ti dirò,
in parole umane, la celeste Verità che mi è stata svelata questa notte, per
merito tuo…. Più tardi, molto più tardi, comunicherai questa Verità alle masse,
e l'eco umana la ripeterà, come potrà. Noi celebreremo un matrimonio umano
affinché gli uomini ci lascino in pace. Buongiorno, mia fidanzata – disse
sorridendo.
Altri avvenimenti si aggiunsero più tardi a quelli che ho
finora narrato. Essi determinarono per sempre il mio orientamento spirituale.
Li racconterò, forse, un giorno….
FINE
FINE
Termina qui questo primo viaggio nella Mente, nella vita e
nelle Opere di Maria de Naglowska, una donna, un eccentrica, un’iniziata, una
sacerdotessa ed una Mistica. Alle cui parole non ci sentiamo di aggiungere altro, cercando così di lasciare, ogni lettore alle proprie conclusioni e riflessioni. Con la speranza che questo testo spinga le menti
più reattive a svelarne gli elementi in esso celati e a spingersi sempre oltre
e che il pensiero Creativo possa fungere sempre da Lanterna nel buio della profanità,
per tutti coloro che vedenti non sanno ove rivolgere il proprio sguardo e donando
ancora una volta la vista a chi non ce l’ha. Con la Tacita Benedizione di Chi
occhio profano non vede ma il Cui Occhio Tutto Vede, A.’.G.’.D.’.G.’.U.’. Tutti i Fratelli e le Sorelle del’Ordine della
Rosa Nera e del Triangolo d’Argento (Frater Consilii Nerae Rosae et Argentum
Trianguli Sethianibus Ermeticae Sinister Atri) sempre rivolti al Grande Oriente
Ermetico dei Figli di Seth in Italia (M.’.A.’.O.’.H.’.F.’.S.’.) .’. Die Jovis septem july 2014 E.V. (Era Volgare)
Nadir di Venezia Ball Cave’s.
Dall'unione di
uomo e donna si ottiene infatti un cerchio, dalla quadratura del cerchio si
ottiene un quadrato, ed infine dal quadrato è necessario estrarre un triangolo
per giungere alla Pietra filosofale, come recitano i testi alchemici.
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